The Privilege: recensione dell’horror tedesco Netflix
Con The Privilege, la coppia formata da Felix Fuchssteiner e Katharina Schöde si avventura nel girone infernale del cinema horror e il risultato lascia molto a desiderare. Dal 9 febbraio 2022 su Netflix.
Dopo aver esplorato il fantasy con la saga di Ruby Red, ottenendo risultati piuttosto altalenanti, la coppia formata da Felix Fuchssteiner e Katharina Schöde non demorde e prosegue sulla tortuosa strada del cinema di genere, avventurandosi questa volta nel girone infernale dell’horror. Lo fa firmando a quattro mani lo script e la regia di The Privilege, disponibile su Netflix a partire dal 9 febbraio 2022. Loro e nostro malgrado anche qui gli esiti non soddisfano le aspettative, con una pellicola che riesce a fare addirittura peggio delle precedenti.
The Privilege si presenta come un compendio che raccoglie l’intero immaginario cinematografico dell’horror degli ultimi anni
Quello portato sullo schermo è un minestrone nel quale gli autori gettano tutti gli ingredienti a disposizione pur di renderlo saporito e gustoso al palato degli appassionati e dei cultori della materia. The Privilege si presenta di fatto come un vero e proprio compendio, chiamato a raccogliere all’interno della timeline l’intero immaginario cinematografico dell’horror degli ultimi anni, attingendo all’ampio spettro dei temi, stilemi, filoni, personaggi e situazioni riconducibili alla suddetta famiglia allargata. Il tutto messo al servizio di un prodotto che va a collocarsi a metà strada tra un horror per ragazzi e un classico racconto mistery, strizzando l’occhio principalmente a un pubblico appartenente a una fascia young.
Il che ha portato il duo tedesco a raccontare l’odissea orrorifica di un gruppo di adolescenti iscritti a una prestigiosa scuola privata, le cui esistenze vengono sconvolte da una serie di eventi soprannaturali che causano una catena di inspiegabili decessi. Tra questi figura il diciottenne Finn, che dopo la tragica scomparsa di sua sorella Anna inizia a essere tormentato da incubi nei quali gli appaiono terrificanti demoni. È solo frutto della propria fantasia o quello che scorre davanti ai suoi occhi è realtà? Alla visione l’ardua sentenza. Nel frattempo il protagonista, qui interpretato da un incerto Max Schimmelpfennig (visto di recente nel thriller ad alta quota 7500 e in episodi di serie molto popolari come Das Boot e Dark), al fianco della sua migliore amica Lena (Lea van Acken) proverà a fare luce sul tremendo segreto che si cela nel proprio passato.
L’architettura narrativa di The Privilege si basa su una successione di eventi che hanno il retrogusto inconfondibile del déjà-vu
Con un certo grado di irritazione, lo spettatore di turno si troverà al cospetto di una successione di eventi che hanno il retrogusto inconfondibile del déjà-vu. Quando basta per giungere dirittamente a un epilogo che puzza di bruciato, come il più classico dei segreti di pulcinella. Ciò è soltanto la punta dell’iceberg che andrà a infrangersi contro le aspirazioni degli autori, colpevoli senza possibilità di appello di avere fallito su entrambi i fronti: quelli del thriller e dell’horror. Per quanto concerne il primo, la facilità nella lettura e la prevedibilità degli snodi narrativi che portano al colpo di scena telefonato al quale si assiste nel finale, sono lo specchio che riflette in maniera chiara e inequivocabile la fragilità dell’architettura gialla e la mancanza di idee utili a supportarla. Quelle poche che è possibile rintracciare non vengono sviluppate a sufficienza, per lasciare campo aperto a dinamiche già viste. Viene da sé che nel vedere The Privilege la mente non deve sforzarsi più di tanto per intravedere la soluzione e sciogliere l’enigma. Per giunta con una tensione e una suspence ridotte ai minimi termini, insufficienti a garantire un coinvolgimento attivo da parte dello spettatore.
I registi mettono mano al catalogo del genere in questione e saccheggiano tutto quello che c’è da saccheggiare
Sul versante orrorifico le cose non vanno meglio, con i registi che mettono mano al catalogo del genere in questione e saccheggiano tutto quello che c’è da saccheggiare con un occhio di riguardo alla produzione degli anni Settanta e alle derive contemporanee. Riferimenti, questi, attraverso i quali si punta a dare forma e poca sostanza a un mash-up di elementi che fanno fatica a coesistere, se non grazie a una serie di forzature. Il tutto tenuto insieme da una scrittura che cerca in tutti i modi di chiudere il cerchio con non poche difficoltà, facendo affidamento a una messa in quadro che fa del jumpscare e dello shocker nient’altro che dei colpi a salve. Se non fosse per il ritmo serrato scandito dal montaggio, che rende la visione quantomeno digeribile, la noia la farebbe da padrona.