The Prom: recensione del film Netflix con Meryl Streep e Nicole Kidman
Un messaggio molto importante di inclusività viene inserito in un fiume in piena di sequenze scenograficamente inattaccabili, ma The Prom mostra il fianco nella selezione e nel dosaggio dei brani.
The Prom è un film originale Netflix, disponibile da Venerdì 11 dicembre, sotto la completa direzione di Ryan Murphy (Glee, Hollywood): tratto dall’omonimo musical ideato da Chad Beguelin e Bob Martin – che curano anche la sceneggiatura del film -, narra la storia di Dee Dee Allen (Meryl Streep) e Barry Glickman (James Corden), due star di Broadway in declino. Per risollevarsi dalla loro tragica situazione, nel tentativo di splendere nuovamente come icone di riferimento e celebrità, decidono di aiutare una liceale in difficoltà: il suo nome è Emma Nolan (Jo Ellen Pellman), una ragazza lesbica che riceve una grossa delusione dall’Associazione Genitori nella scuola pubblica che frequenta. Le viene vietato di partecipare al ballo di fine anno insieme alla sua ragazza Alyssa (Ariana DeBose), e questo imprevisto le darà forza per contrastare il corpo studentesco e una realtà retrograda e ingiusta. Improbabili star e ragazzi incompresi avranno modo di far valere i propri diritti, in un musical dal ritmo indiavolato e con un cast di richiamo.
The Prom: un inno alla libertà di espressione e alla diversità
Con The Prom non ci soffermiamo sulla presentazione dei personaggi, sul loro trascorso e sul legame che tiene uniti tutti questi spericolati caratteri in scena; Ryan Murphy alimenta un motore rombante, forte di una carica inesauribile che ha tutta l’intenzione di movimentare ogni aspetto nel quotidiano. Una volta introdotti nel magico mondo di Broadway, si sbloccano una serie quasi infinita di canzoni che divorano letteralmente la cinepresa. Ogni componente del cast deve misurarsi con la barriera della critica, dei giudizi infondati e del bieco bullismo; la minaccia è vista come un elemento di disturbo da sradicare con la musica e il ballo più sfrenato. Emma si sente accerchiata dal bigottismo e dalle osservazioni superficiali riguardanti il suo orientamento sessuale, e attraverso il canto irrompe in una dimensione che assume contorni fantastici.
La palette cromatica composta nel film Netflix è variegata: avvolgente quando ci si dedica al dialogo più pacato e ragionato, incentrato sulle incomprensioni a livello genitoriale oltre che all’esclusione forzata da una cerchia da condannare, ed è elettrizzante – con toni che virano sul blu e il viola – quando ci avviciniamo all’evento riportato nel titolo. Il ballo di fine anno deve essere svolto in compagnia di tutti i ragazzi, senza distinzione di genere e posizione sociale; un obiettivo che si pone sia il regista che gli spericolati interpreti di punta, con Meryl Streep alla guida di esibizioni sempre più sfavillanti.
Si viene investiti da un enorme quantitativo di brani, che descrivono ogni azione compiuta dai protagonisti
Un binario che procede spedito verso una meta sicura, toccando dei tasti delicati che possono sfoderare degli spunti drammatici di notevole intensità; si sale a bordo di The Prom con la consapevolezza di rimanere travolti da un considerevole numero di brani originali. La tracklist è veramente vasta, e al suo interno troviamo dei piccoli sfoghi o veri e propri manifesti per sostenere l’integrazione e la diversità. Nel quadro complessivo della struttura narrativa, non si riesce ad accedere alla sfera intima di tutte le grandiose star che popolano l’universo partorito da Murphy. La portata del film va ad ampliarsi oltre i confini della scuola di Emma, una prigione da abbattere per lasciar entrare ogni forma di spettacolo e divertimento; in questo modo, anche Dee Dee e Barry – assieme ai colleghi Angie Dickinson (Nicole Kidman) e Trent Olivier (Andrew Rannels) – possono esprimere un iniziale senso di inadeguatezza sulla via di una trasformazione radicale.
Più che prestare ascolto ai testi delle canzoni riprodotte, ci si lascia cullare dal manto visivo e dalla sfrenata macchina da presa che tenta di catturare ogni passo di danza e ogni espressione gioiosa di contorno. Si genera così uno sviluppo frammentato e in parte confusionario, che fa emergere una questione etico-morale non ancora risolta ma risucchiata in un vortice inarrestabile di esibizioni sempre più articolate, dove si rimane catturati da scelte fotografiche che si sposano con la silhouette degli interpreti principali. Menzione speciale per Jo Ellen Pellman e “Unruly Heart” da lei cantata: una punta di diamante all’interno di una giostra condotta da mani esperte in sede di regia, ma parzialmente scosso da un numero indefinito di sezioni cantate che non conoscono approfondimenti per i suoi protagonisti.