The Redeem Team: le Olimpiadi della riscossa – recensione del documentario Netflix

La storia della spedizione US della pallacanestro alle Olimpiadi di Pechino.

Gli statunitensi amano le storie di virtù e meriti, le storie di grandi cavalcate e di trionfi impensabili. Gli statunitensi amano queste storie ancora di più se riguardano loro stessi. Non ci sono dubbi quindi che The Redeem Team: le Olimpiadi della riscossa, uscito il 7 ottobre su Netflix, sarà adorato in patria dal momento che racconta la vittoriosa spedizione della squadra maschile di pallacanestro a stelle e strisce durante i Giochi Olimpici di Pechino del 2008. Una spedizione la cui vittoria oggi si darebbe probabilmente per scontata, ma che in quel giro di anni non lo era affatto. Gli Stati Uniti venivano dalla pesante sconfitta per mano dell’Argentina ai Giochi Olimpici di Atene nel 2004 e dalla doppia batosta ai mondiali, prima nel 2002 e poi nel 2006. Ecco perché il reboante ‘The Redeem Team’. Perché quella squadra deve riscattare le ultime spedizioni della pallacanestro USA nel mondo. Non solo: deve in qualche modo redimere gli interi Stati Uniti, e questo il documentario lo fa ben capire.

The Redeem Team, la squadra delle seconde opportunità

the redeem team cinematographe.it

Gli Stati Uniti sono la terra delle seconde opportunità. Questa retorica sgorga copiosa in The Redeem Team, dandogli forma e sostanza. Tutto il documentario ruota attorno al concetto di vendetta (vendetta contro le squadre che hanno battuto gli States in precedenza, vendetta contro certa stampa e via dicendo) e di primato affermato sull’altro. Attorno all’idea di dover e voler dimostrare ancora una volta di essere i primi e i migliori. Di essere quelli che gli altri prendono come punto di riferimento. Nel caso questo di The Redeem Team questo sentimento si applica naturalmente alla pallacanestro, ma con le dovute proporzioni vale per qualsiasi espressione pubblica statunitense. Questo modo di presentarsi al mondo – ben evidente, va ripetuto, nel documentario – appesantisce un po’ la narrazione. Noi, pubblico poco avvezzo a una retorica di questo genere e a una competitività così virulenta, arriviamo in fondo a The Redeem Team un po’ stancamente, prostrati (per non dire frustrati) dall’eccessiva melassa statunitense.

Uno per tutti: Kobe Bryant

The Redeem Team, recensione, Cinematographe.it

Ma poi c’è l’altro lato della medaglia, perché a tanta pomposa autocelebrazione è comunque difficile rimanere indifferenti. Perché continuiamo a fare il tifo per gli Stati Uniti (sportivamente parlando), quando sappiamo che sono quasi sempre i più forti? Proprio perché ne rimaniamo ogni volta conquistati. Perché a quella retorica sotto sotto crediamo – o vogliamo credere – anche noi. Più ancora: perché vogliamo vivere noi stessi quel sentimento, vogliamo immergerci in quel modo di fare, in quella forma mentis. E The Redeem Team mostra molto bene anche questo. Attraverso i filmati dell’epoca viviamo come fossimo presenti la finale olimpica tra Stati Uniti e Spagna, una delle più belle partite mai giocata da due nazionali. Tifiamo, spingiamo la squadra, siamo con loro fino alla sirena finale. Percepiamo la tensione e l’emozione della partita attraverso il sapiente montaggio alternato dei filmati del match e delle interviste ai suoi protagonisti. E ci sono tutti (LeBron James, Dwyane Wade e Carmelo Anthony su tutti), meno uno, naturalmente: Kobe Bryant. The Redeem Team celebra la grande spedizione del team USA a Pechino, certo. Ma, in ultima analisi, vuole anche essere la celebrazione – e il commosso ricordo – di un campione che non c’è più e che di quella vittoria è stato assoluto protagonista. E a questo proprio non si può rimanere indifferenti.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3

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