The Settlement: recensione del film di Mohamed Rashad dalla Berlinale 2025
The Settlement, la recensione del film di Mohamed Rashad, presentato alla Berlinale 2025.
The Settlement, film diretto da Mohamed Rashad e presentato alla Berlinale 2025, ci racconta il mondo dimenticato degli operai in fabbrica. Ma è anche una storia di vendetta e di amore fraterno. Ambientato in una baraccopoli chiamata Al Nag’, nel quartiere spettrale di Wardiyan ad Alessandria, Hossam e Maro sono due fratelli rispettivamente di ventitré e dodici anni. In seguito alla morte del padre Said, morto sul lavoro per colpa di un errore accidentale, il direttore della fabbrica di lamiere del posto, Karim, convince la famiglia dei due fratelli a rinunciare ai propri diritti legali in cambio dell’assunzione di Hossam e Maro. Il maggiore dei due si sente umiliato, ma decide comunque di accettare l’offerta per un senso di responsabilità. Sul luogo di lavoro, Hossam e Maro scoprono di dover lavorare fianco a fianco con Moustafa, colpevole di aver provocato la morte del loro padre. Tutti si attendono una vendetta da parte di Hossam. Ma il giovane arriverà mai a placare la sua sete di rabbia?
The Settlement: quel giro di vite in un’Alessandra sperduta e dimenticata
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The Settlement è in parte ispirato a una storia vera, quella del padre del regista, anch’egli lavoratore in fabbrica. E’ strano vedere un film egiziano ambientato in una zona rurale, dimenticata da tutti, eppure è qui che nascono le realtà più degradanti. Hossam e Maro sono due fratelli. A separarli c’è un’enorme differenza d’età, eppure il loro legame è più saldo di quanto si creda in apparenza. Maro decide di abbandonare la scuola per andare a lavorare insieme a Hossam, e così contribuire anche lui alla famiglia, dove sono rimasti loro e la madre inferma. Il quartiere malfamato di Wardiyan offre uno spaccato di vita povero, in cui gli uomini si recano ogni giorno al lavoro prendendo l’autobus che li porterà in questo posto lontano chiamato The Settlement, e compiono le medesime operazioni in fabbrica come dei robot; c’è un giro di vite vergognoso, in cui i proprietari dell’azienda si permettono di trattare i loro sottoposti a loro piacimento.
Hossam è il bersaglio preferito poiché sanno che è stato assunto in cambio del silenzio. Il ragazzo si sente umiliato e sminuito, sapendo anche di non avere le competenze ideali per poter accettare qualunque altro tipo di lavoro. Il ritmo del film rispecchia quello degli operai di The Settlement: lento, inesorabile, duro e implacabile. Lo percepiamo in una scena in particolare in cui Hossam si sofferma ad osservare i suoi colleghi svolgere il lavoro in modo meccanico, come un sistema industriale impossibilitato a fermarsi.
The Settlement: una storia di vendetta in cui vince l’amore
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Tutti a The Settlement si aspettano che Hossam prima o poi porti a termine la sua vendetta. Gli operai conoscono la storia di suo padre, ma sanno anche come il giovane sia una persona ostile, disadattato e ribelle, che frequenta cattive compagnie. La sua personalità lo dipinge come un fuorilegge e criminale, ed ecco perché per tutto il film si percepisce una costante tensione emotiva – che tuttavia non viene esplicata al meglio. I colleghi di Hossam attendono un passo falso del giovane, ma non è questo il suo unico problema. Il fratello minore Maro è in un’età in cui sta ancora cercando di capire chi vuole essere. Ha dodici anni e vede nel fratello un modello di vita ideale. Lo ammira a tal punto che lo sprona a reagire contro chi ha portato via il loro padre. In modo sconsiderato, il ragazzino vuole anche essere coinvolto in questa assurda vendetta.
The Settlement: valutazione e conclusione
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Rashad ci racconta una storia in cui prevale l’amore, quello tra due fratelli che cercano di trovare il loro posto in un mondo arido e senza speranze. The Settlement è una storia che lascia con l’amaro in bocca e un senso di incompiuto per due motivi: l’elemento emotivo non riesce ad emergere, e il finale non promette una lieta conclusione. Anzi, lascia presagire che non esista una via di salvezza per questi personaggi emarginati, ma in questo caso è lasciato allo spettatore il compito di giudicare le azioni dei protagonisti, in particolare di Hossam. Si apprezza comunque la fotografia del film, ben attenta nel raccontare una realtà disadattata, e si vede l’imprinting personale del regista, che ha saputo raccogliere la sua esperienza personale per mostrare qualcosa di unico e originale.