The Signal: la recensione del film sci-fi di William Eubank

The Signal di William Eubank è un film di fantascienza con legami con il thriller d'inseguimento che si inserisce senza spiccare nel filone della sci-fi rivolta ad un pubblico young adult, tipico del cinema statunitense contemporaneo.

The Signal, presentato al Sundance Festival, è la seconda regia di William Eubank, il quale esordì nel 2011 con il fantascientifico Love. In questo suo secondo film il regista, classe 1982, fonde le suggestioni e le atmosfere sci-fi con l’adrenalina del thriller d’inseguimento e con il romanticismo di una love story colta nel momento di maggiore crisi, cercando di trovare una sua specificità pescando tra tendenze, spunti e filoni del cinema di genere statunitense rivolto ad un pubblico “young adult”.

Jonah (Beau Knapp), Nic (Brenton Thwaites) e Haley (Olivia Cooke) sono tre studenti del celebre MIT in viaggio lungo gli States per accompagnare la ragazza in California, dove dovrà trascorrere un intero anno per motivi di studio. Nic e Haley sono fidanzati, e la scelta di vita della ragazza capita in un periodo in cui la coppia è in crisi a causa della sempre più evidente freddezza di Nic, colpito da distrofia muscolare e per questo spaventato e chiuso a riccio in se stesso. Il trio di studenti è intanto perseguitato da un hacker di nome NOMAD. Scoprono la posizione del loro persecutore e decidono di andarlo a cercare; nel luogo – una baracca abbandonata nel mezzo del deserto del Nevada – Haley viene però rapita da un misterioso fascio di luce bianca proveniente dal cielo. Ritroviamo Nic rinchiuso in una misteriosa e asettica clinica, dove gli viene detto di essere entrato in contatto con entità aliene. Il giovane intelligente e testardo protagonista però non si fida della situazione e, trovata la sua ragazza, anche essa lì rinchiusa, cerca di scappare. L’ultima parte del film racconta proprio questa fuga, sempre più tenace e ostinata e allo stesso tempo sempre più disperata e folle.

the signal cinematographe

The Signal di William Eubank e la fantascienza con protagonisti adolescenti e giovani

The Signal è uno dei numerosi esempi di quel tipo di cinema statunitense degli ultimi anni in cui la fantascienza, più o meno evidente e palese, talvolta tradizionale e talvolta (non è questo il caso) distopica, diventa la cornice delle disavventure di protagonisti adolescenti o comunque giovani, filone nel quale riecheggia l’eco di problematiche attuali che in qualche modo coinvolgono proprio questa fascia d’età, anche in questo caso in maniera talvolta più esplicita di altre.

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Si pensi al caso di maggior successo – la saga di Hunger Games e il suo pessimismo sul futuro delle divaricazioni sociali che vedranno i giovani come vittima sacrificale – o a imitazioni meno d’impatto come la trilogia di Maze Runner – il labirinto, oppure alla recente rielaborazione in qualche modo più autoriale compiuta da Steven Spielberg con Ready Player One sui pericoli di un’eccessiva confidenza con la tecnologia e con le realtà virtuali. Il film di Eubank ha da un certo punto di vista un impianto più tradizionale, ma complessivamente rielabora molti di questi spunti. I protagonisti, per esempio, sono nerd, categoria a cui questo tipo di cinema sta dando sempre più attenzione, e nella prima parte è evidente la tematica del controllo, della persecuzione e della conseguente ossessione dovute allo sviluppo delle nuove tecnologie. Allo stesso modo, assolutamente centrale è la vicenda amorosa tra Nic e Haley con le sue discese ardite e le sue risalite, nelle quali sono evidenti le tensioni, le reazioni e le emotività tipiche delle relazioni di quella fase della vita. Un’altra tematica accennata che torna spesso in molto cinema contemporaneo rivolto a adolescenti e simili, anche se non di fantascienza, è quella della malattia grave e delle sue conseguenze sull’interiorità del personaggio.

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The Signal di William Eubank: un film medio che coinvolge e non spicca

The Signal appare così come il classico film “medio” che si incastra alla perfezione in un filone dominante, non deludendo e allo stesso tempo non riuscendo a spiccare. Coinvolge senza però realmente trascinare e appassionare; sfiora tematiche e chiavi di lettura interessanti e attuali senza approfondirle e pescando qua e là; è diretto in maniera professionale senza particolari cadute di stile e senza avere picchi d’interesse e personalità registica. Insomma, dà al pubblico tutto quello che il pubblico si aspetta senza rischiare nulla, nonostante l’idea, non seguita fino in fondo, di unire queste tematiche “nuove” ad un topos fondamentale – gli alieni – della fantascienza tradizionale e classica fosse sulla carta interessante.

A poco servono, se non a confermare questa gradevole medietà, i saltuari riferimenti all’estetica horror (l’incursione nella casa di NOMAD pare per esempio uscita da un Paranormal Activity) e l’impianto da thriller d’inseguimento della parte finale. A Eubank va ad ogni modo riconosciuto il fatto di sapere, come si dice in gergo, “dirigere il traffico”, di saper spiegare senza ridondanze e di essere stato capace di esaltare le asettiche, fredde e inquietanti atmosfere della clinica/base militare, nonostante anche in questo caso non ci fosse nulla di nuovo sotto il sole. Forse è quindi lecito aspettarsi qualcosa in più dai suoi prossimi lavori.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.6