The Six Triple Eight: recensione del film
Una storia di coraggio e di voglia di prendersi il proprio spazio.
Arriva su Netflix il 19 dicembre 2024 il film The Six Triple Eight di Tyler Perry, basato sull’articolo Fighting a Two-Front War di Kevin M. Hymel, a sua volta ispirato a fatti realmente accaduti durante la seconda guerra mondiale. Il film racconta le vicende legate al 688th Central Postal Directory Battalion, primo e unico battaglione di donne afroamericane mandato in servizio in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, l’incarico per le soldate era di far arrivare le lettere rimaste bloccate per mesi ai destinatari. Le lettere erano decine di migliaia, rovinate, sporche di sangue e di fango, con destinatario illeggibile o che nel frattempo aveva cambiato località. Il tutto, andava svolto entro sei mesi. L’incarico era stato dato per ridicolizzare il battaglione, costituito da donne e nere.
The Six Triple Eight: un’opera ondivaga che riesce ad emozionare
Il film porta sullo schermo la storia vera di un gruppo di donne afromericane che hanno deciso di arruolarsi durante la Seconda Guerra Mondiale per lottare in prima persona per la patria. Si tratta dell’unico battaglione femminile afroamericano in servizio in Europa durante la Seconda guerra mondiale, protagoniste di un’impresa importantissima, riuscire a portare ai soldati ancora vivi e alle loro famiglie le lettere spedite e mai arrivate a destinazione. Unite nella loro determinazione, queste donne sono state delle vere e proprie eroine, hanno lavorato duramente, gettando il cuore oltre l’ostacolo, uscendo dall’ombra in cui i colleghi, uomini e bianchi, le avevano relegate. Il loro gesto ha dato speranza e infranto barriere.
The Six Triple Eight è un’opera ondivaga che parla di sentimenti personali e universali (l’amore) e anche della grande Storia attraverso la lente della piccola storia.
Dicembre 1943 a San Pietro, in Italia. Un soldato bianco, le trincee, tutto esplode. Una lettera insanguinata che rimarrà senza consegna in un magazzino dell’esercito per anni. Dal campo di battaglia, si torna al 1942, Bloomfield, Pennsylvania. Lena Derriecott King (Ebony Obsidian) sta dicendo addio al suo fidanzato, Abram David (Gregg Sulkin), bianco ed ebreo e per questo la loro relazione non viene ben vista dalla madre di lei. La sua morte improvvisa durante la guerra ci spinge in avanti al 1944, a Fort Oglethorpe, Georgia. La giovane, per reagire alla morte del ragazzo, si arruola e incontra Charity Adams (Kerry Washington), maggiore dal carattere tenace e coraggiosa. È lei l’anima e il corpo di questo battaglione, non retrocede mai, combatte per le sue idee e non si fa mettere i piedi in testa dai capi, uomini che pensano di averla in pugno perché donna e perché nera.
Lo spettatore è colpito ed è anche sballottato da questa storia e dalle varie figure che attraversano questo primo atto. Si tenta di fondere le vicende di King e Adams ma non sempre è possibile: King è il centro dell’emozione voluta dal film, il suo dolore per David è fresco, violento, chi guarda non può essere che con lei. La minuta King non è inizialmente tagliata per questo lavoro eppure il suo atteggiamento la porta ad essere giusta per il ruolo. Dall’altra parte c’è Adams che è granitica, quasi algida, ma il suo è più che altro un essere ligia al dovere, sicura che quello sia il suo posto e per la sua squadra farebbe di tutto, le ha formate, ha dato loro gli strumenti e non può accettare che vengano svalutate.
Una storia di coraggio e di voglia di prendersi il proprio spazio
Il battaglione deve accettare tante cose, la superiorità maschile, le frasi a sfondo razziale che i suoi superiori, bianchi, come il disgustoso generale Halt (Dean Norris), lanciano riguardo al fatto che le donne nere siano incapaci di qualsiasi cosa, poco intelligenti, poco adatte a qualsiasi cosa. La maggiore è pronta a fare da scudo alle sue sottoposte, anche nei momenti più difficili e dolorosi, come una leonessa le difende e difende anche il loro lavoro che non è meno importante di quello degli altri.
Adams è fragorosa, sicura mentre urla ordini e si rivolge a sottoposti e superiori, peccato che non abbia moltissimi momenti per dimostrare la donna che è. Lungo il film emergono i nuovi metodi ingegnosi per rintracciare la posta precedentemente considerata non recapitabile e lavorano instancabilmente per portare a termine il loro compito. Lungo il cammino, vengono trattate con condiscendenza e razzismo da soldati e ufficiali bianchi. A un certo punto, Lena, ancora in lutto per Abram, si indigna per il modo sprezzante in cui le colleghe trattano la posta dei soldati deceduti.
The Six Triple Eight: conclusioni e valutazioni
Racconta una storia poco conosciuta che meritava di essere portata sullo schermo. The Six Triple Eight, un film classico con pochi voli pindarici e con qualche lungaggine di troppo, è un film che colpisce ma che non riesce sempre a compiere a pieno il suo lavoro. In un mix di coraggio, commozione, lotta e sorellanza, lo spettatore entra in contatto con il battaglione che ha dato un po’ di pace a chi non l’aveva.