The Specials: recensione del nuovo film dei registi di ‘Quasi amici’
Commedia sociale dal tocco lieve, The Specials invita lo spettatore ad integrare nel proprio spazio visivo anche chi non sembra raccogliere su di sé lo sguardo altrui.
In origine doveva trattarsi di un documentario, poi i registi Éric Toledano e Olivier Nakache (Quasi amici, Samba, C’est la vie) hanno scelto di trasformare la materia di realtà in finzione, senza sacrificare, trasfigurandola, l’incisività della testimonianza.
EXCL The Specials – Fuori dal comune: il grande Vincent Cassel in una scena del film
Dopo aver incontrato Stéphane Benhamou, fondatore dell’associazione “Le Silence des Justes”, e Daoud Tatou, direttore dell’associazione “Le Relais IDF”, operatori d’assistenza sociale da tempo impegnati nel difficile compito di integrare ragazzini con deficit cognitivi e diagnosi apparentemente senza scampo (la più spaventosa di tutte, l’autismo), Toledano e Nakache hanno deciso che la loro storia meritava di essere portata sullo schermo come lungometraggio di finzione così da restituire con levità allo spettatore la fatica che implica la scelta di non guardare dall’altra parte, di non chinare il capo davanti alle cosiddette ‘persone speciali’, quelle che, a causa di disabilità severe, è più comodo per tutti che se ne stiano tumulate in stanze d’istituti, larvate dai farmaci e, in tal modo, definitivamente disinnescate nelle loro pulsioni e nei loro moti vitali troppo spesso straripanti.
La coppia Toledano-Nakache torna a raccontare gli invisibili
The Specials è, così, una commedia sociale, ma, come già la filmografia della coppia di registi che la precede, è soprattutto un’opera che, con delicatezza, senza ricorrere mai al ricatto emotivo o, peggio, morale, invita lo spettatore a riflettere intorno al tema dell’invisibilità. Sono infiniti i paria delle nostre società europee metropolitane: gli indigenti stipati nei palazzoni abbandonati delle periferie, i senzatetto, i bambini e ragazzi senza famiglia o deprivati a livello affettivo ed educativo, i malati cronici che non conosceranno guarigione.
The Specials sceglie di concentrarsi sui bambini ormai cresciuti affetti da disabilità mentale e inevitabile disregolazione affettiva, quei bambini cresciuti che non suscitano più il sorriso pietoso e, in fondo, tenero concesso all’infanzia, gli ex bambini disturbati divenuti ragazzi, spesso ragazzoni robusti, ora percepiti dagli altri come ingombranti, ora guardati con un sentimento di disfatta.
The Specials: Vincent Cassel e Red Kated uniti da un sogno d’integrazione
Vincent Cassel e Red Kateb, attori dal volto tanto spigoloso quanto eloquente di umanissime complessità, insuperabili nel ritratto di personalità virili ma innervate di fragilità, diventano Bruno e Malik, il primo ebreo, il secondo mussulmano. Accompagnano per mano questi ragazzi ‘speciali’ e, con loro, chi guarda nelle vicissitudini quotidiane dell’accudimento disperante, quello che non potrà mai risolversi nell’indipendenza dell’accudito. Lo fanno con gentilezza, evocando la passione della cura desinata a scornarsi con le istituzioni ‘ufficiali’, nel film incarnate dagli ispettori ministeriali sospettosi che allo slancio civile sovrappongo le automazioni burocratiche e le ragioni d’apparato.
Eppure The Special non si sorregge sul manicheismo, sulla spartizione del mondo tra buoni e cattivi, ma su una più sfumata partecipazione all’ordinarietà del disadattamento e ai problemi ‘triviali’ che ne conseguono. E, forse, manca solo un’indagine più accurata sui moventi, perché ogni storia d’altruismo è, in fondo, anche una storia d’egoismo. La solitudine di Bruno, ebreo in età da matrimonio che non riesce a interessarsi alle donne che incontra negli appuntamenti al buio organizzatogli dai suoi, è a malapena evocata, motore sotterraneo dell’abnegazione filantropica di lui che resta, però, solo intuito, privato di una profonda investigazione drammaturgica.
E forse è giusto così, perché The Specials è, soprattutto, la storia corale di un’utopia condivisa da due fratelli d’elezione, un’utopia inclusiva, e proprio questa utopia dolceamara d’integrazione e fratellanza è, del resto, quanto Éric Toledano e Olivier Nakache hanno dimostrato di saper inseguire meglio nel loro cinema umanistico, in quei loro film dal marchio inconfondibile di morbidezza e ironia, così singolarmente traboccanti d’umanità e di speranza.