The Strangers: Capitolo 1 – recensione del film di Renny Harlin
La coppia destinata a scontrarsi con l’ordinarietà del male, non ha spezzato il proprio legame d’amore, piuttosto lo sta animando. Ai silenzi, il film di Harlin preferisce il dialogo e la violenza è sempre più collettiva e globale. In sala dal 28 novembre 2024.
Sempre più spesso ci ritroviamo a sottovalutare l’ordinarietà del male. Un concetto che sedici anni fa Bryan Bertino, autore del primo capitolo di The Strangers, sfortunato allora e rivalutato poi, aveva colto appieno. Non vi erano infatti colpi di scena, né tantomeno particolari svelamenti di narrazione. Piuttosto l’accettazione più totale dell’ordinarietà del male. Al termine delle dinamiche proprie del filone home invasion, la protagonista, interpretata da Liv Tyler, chiedeva ai suoi aguzzini: “Perché ci state facendo questo?”. Lo spettatore del periodo, rifletteva dunque su ogni possibile causa e motivazione di tutto quel male. Qualche attimo dopo però, la celebre e inaspettata risposta della baby killer: “Perché eravate in casa”. Lo stravolgimento, l’insensatezza e l’assenza più totale di motivazioni.
Sulla semplicità e la ferocia dell’ordinarietà. Non hai commesso alcun errore, non hai alcuna colpa da espiare, eri in casa e dovevi morire. Un’idea di cinema horror matura, sagace e realmente spaventosa, poiché credibile e quotidiana. Ripensiamo ad Haneke e a Funny Games. A partire da un’esperienza di vita, o meglio, dalla sua resa certamente estrema e crudele, Bertino intercettava allora una delle paure più grandi dell’uomo: la solitudine, che se confinata in uno spazio di isolamento e vulnerabilità, può rapidamente condurre alla morte, specie se intercettata da un incontro improvviso e oscuro. Renny Harlin, da sempre diviso tra cinema action e horror, riparte da qui, rileggendo l’intera saga e così le sue origini con The Strangers – Capitolo 1, distribuito in sala da Vertice 360, a partire da giovedì 28 novembre 2024.
Il male non è più individuale, bensì collettivo e locale
Ciò che distingueva The Strangers di Bryan Bertino, rispetto a moltissimi altri horror del periodo – e di oggi -, era proprio la questione del male, esclusivamente legato e aderente alla maschera che chiunque può indossare, pur non svelandosi mai. Una presenza fantasmatica dunque e senza volto. Tutt’attorno però la salvezza. Harlin non ci sta e guardando al cinema di Ted Kotcheff (Wake in fright), John Boorman (Un tranquillo weekend di paura) e a quello ben più recente di Mike P. Nelson (Wrong Turn), allarga la sfera del male all’intera comunità dei boschi dell’Oregon, con la quale i suoi protagonisti inevitabilmente si interfacciano. Il male non appartiene più soltanto alla maschera, è sempre più esteso e in questo caso generato dall’intolleranza, dalla misoginia e dalla paura dell’altro. Ecco dunque il risvolto sociale e poi politico, che perfino il cinema horror di serie B più spensierato e divertito, sotterraneamente cela e muove, a partire dai suoi protagonisti e poi dagli scenari. Qui elemento chiave per l’interpretazione della paura.
La prima parte del film infatti, anziché guardare alla struttura classica dell’home invasion, sembrerebbe far pensare a quella ormai nota, ambiziosa e inquietante delle Small town mystery stories. Filone cui da sempre appartiene I segreti di Twin Peaks di David Lynch e oggi prodotti come From, Wayward Pines, Midnight Mass e molti altri. Fulcro di tale filone, l’impossibilità di appartenenza individuale del male. Il male non sei tu. Il male è il luogo e tutto ciò che gli appartiene. The Strangers – Capitolo 1, ponendosi come titolo di passaggio, ne osserva alcune logiche narrative, sfruttandole appieno, per poi sconfinare nell’home invasion più puro, dunque claustrofobico, limitato e legato (come giusto) al cult d’origine di Bryan Bertino. Ancora una volta una giovane coppia, Maya (Madelaine Petsch) e Ryan (Froy Gutierrez), il cui amore, a differenza del film originale, non è prossimo alla fine, piuttosto agli inizi. Il legame non si è mai spezzato, né tantomeno lo farà dopo, pur scontrandosi con la ferocia, la violenza e il male.
The Strangers – Capitolo 1: valutazione e conclusione
Nonostante una confezione stilistico/narrativa semplicistica ed evidentemente meno elegante e riuscita rispetto a quella del film originale, la rilettura di Renny Harlin è efficace, moderna e tensiva, capace di inquietare perfino lo spettatore più scettico e disinteressato. È cosa nota che la saga di The Strangers, non abbia mai osservato, né tantomeno rincorso una violenza spudoratamente splatter e visivamente feroce. Interessandosi maggiormente alla cura degli spazi, dunque al lavoro sui corpi, certamente minati dalla paura, che proprio a causa di quel totale confinamento e isolamento, genera panico, adrenalina e tensione. Harlin non è un mestierante e queste sono dinamiche che conosce da tempo, ecco perché allo spettatore non riuscirà difficile ritrovarsi e simpatizzare fortemente con entrambi i protagonisti. Non è cosa da poco, anzi, nel cinema d’oggi sempre più rara.
Ai silenzi Harlin, preferisce il dialogo, la dolcezza e l’amore giovane. Lo stesso che è destinato a scontrarsi molto presto con il buio. Appena fuori dalla porta, qualcuno o qualcosa è prossimo a bussare, violando qualsiasi genere di certezza e ponendo Maya e Ryan di fronte alla verità più crudele e reale possibile: nessuno mai è al sicuro di fronte alla violenza del mondo e degli uomini. Il cinema horror di serie B, scritto e diretto per essere tale, non è affatto svanito e The Strangers – Capitolo 1 lo dimostra efficacemente. Petsch e Gutierrez non fanno rimpiangere Tyler e Speedman, al contrario, colgono appieno ansie e timori delle nuove generazioni, aderendovi fino in fondo. Non è più la baita a suscitare panico, né tantomeno la violazione dei propri spazi di comfort e tranquillità. Piuttosto la società circostante e gli individui che la vivono, manipolandola secondo gratuite, feroci ed insensate logiche del male. In questo senso ritroviamo lo spunto iniziale del cinema fantapolitico (ancor prima d’essere horror), di James DeMonaco e quella Notte del giudizio che non abbiamo mai dimenticato.