The Substance: recensione del body horror con Margaret Qualley e Demi Moore

Margaret Qualley e Demi Moore sono i due risvolti della stessa medaglia nel satirico e provocatorio The Substance. Body horror, in sala in Italia il 30 ottobre 2024 dopo la vittoria a Cannes (miglior sceneggiatura) e il passaggio alla Festa del Cinema di Roma.

L’ironia è che la maggior parte degli sguardi si fermerà alla patinata e, a tratti, deliberatamente disgustosa esteriorità del film. Mancherà il bersaglio e nel farlo proverà, paradossalmente e provocatoriamente, la correttezza delle tesi e la solidità delle argomentazioni di Coralie Fargeat. Finalmente The Substance arriva nelle sale italiane, per I Wonder Pictures, il 30 ottobre 2024, subito dopo il passaggio alla Festa del Cinema di Roma e qualche mese dopo il trionfo a Cannes 2024, con tanto di premio per la miglior sceneggiatura. È il secondo film per l’autrice francese dopo il violentissimo – e con buone ragioni di esserlo – Revenge (2017). In entrambi i casi la provocazione corre sul filo sottile di un lavoro sul genere – revenge action/thriller nel primo caso, satira body horror nel secondo – che ribalta assunti e convenzioni per raccontare cosa significhi essere donna. Ieri, oggi e forse anche domani.

The Substance recensione cinematographe.it

The Substance è una rivisitazione, dal nero umorismo, del body horror di matrice cronenberghiana, imbottita di riferimenti cinefili, sarcastica e sopra le righe; è l’esteriorità della storia che provoca la maggior parte delle discussioni e certo è la parte meno interessante, sicuro la più imperfetta. Non c’è, non sembra esserci, il minimo sindacale di sottigliezza nell’esposizione delle idee e il citazionismo esasperato ci ricorda quanto di derivativo ci sia in questa storia, facendola un po’ deragliare. Ma sono considerazioni di poco conto. È sotto pelle che il film ha qualcosa da dirci e riesce a farlo alla grande. Merito di un uso intelligente della macchina da presa e, soprattutto, del lavoro degli interpreti. A partire dal non protagonista Dennis Quaid per arrivare alle due star, splendidamente vulnerabili e feroci, Margaret Qualley e Demi Moore. Sono in due, a raccontare la stessa donna.

The Substance: la pozione magica e quello che succede dopo averla presa

The Substance; cinematographe.it

Oltre il premio alla sceneggiatura il Festival di Cannes ricompensa il film, in maniera indiretta ma non meno gratificante, con la calorosa accoglienza riservata alle protagoniste, Demi Moore in particolare. È l’ennesima ironia di un film incredibilmente ironico, perché la brava attrice americana, che con The Substance è nelle condizioni di mettere in moto una seconda carriera, nelle premesse (se le riuscirà di concretizzarle) più interessante della prima, è il perfetto controcampo a quello che non succede al suo personaggio. È un’attrice sulla cinquantina e si chiama Elisabeth Sparkle. Un tempo era una star, ha persino vinto un Oscar, ma non se ne ricorderebbe più nessuno se non fosse per il programma di aerobica che conduce. Anche in questo caso, pensa il produttore del network, Harvey (Dennis Quaid), è arrivato il momento della pensione. È vecchia, c’è bisogno di un corpo più giovane – leggi, desiderabile – per risollevare gli ascolti e aggiornare il programma alle necessità dei tempi che corrono.

Harvey. Non è un caso che Coralie Fargeat abbia deciso di chiamare così il produttore che, con il suo volgare cinismo, mette in moto il film. Un uomo non più giovane, ma nessuno si sognerebbe di rimuoverlo dal suo posto, che spiega a una donna non più giovane che è arrivato il momento di farsi da parte. Il suo fisico, la sua età, non combaciano con le aspettative e i desideri del pubblico. Elisabeth sa che dipende tutto da come il suo corpo è interpretato e percepito dalla società. Viene a sapere che esiste un modo, non approvato dalla scienza e da maneggiare al riparo da occhi indiscreti, che potrebbe aiutarla. È un siero miracoloso – o maledetto, a seconda dei punti di vista – chiamato Sostanza. Permette di creare una nuova e migliore versione di sé; più giovane, fresca, attraente. La trasformazione – il punto di forza della scrittura e della regia di Coralie Fargeat è il modo in cui viene interpretato il cambiamento – non ringiovanisce Demi Moore, ma le fa creare (meglio non rivelare come) Margaret Qualley.

La seconda versione di Elisabeth sceglie di chiamarsi Sue. Infinitamente più giovane, attraente a livelli insostenibili, è una macchina del desiderio costruita per piacere e soddisfare. Il problema è che i corpi sono due, ma l’interiorità è condivisa. Le due donne dovrebbero riconoscersi per quello che sono, un’anima e un corpo offesi dal mondo, “fratturati” e ricomposti in versioni opposte e speculari. Dovrebbero attenersi alla procedura e alternarsi scrupolosamente – una settimana una, una settimana l’altra – ma non lo fanno. The Substance è la storia di come le cose vadano orribilmente storte tra Elisabeth e Sue. La scomposizione provoca una frattura insanabile e le due versioni finiscono per combattersi. Non poteva funzionare e infatti non funziona. Ma perché non funziona?

Lo sguardo indiscreto, il peso delle aspettative e l’immagine autenticamente pornografica

The Substance cinematographe.it recensione

Non sbaglia la critica americana quando ci ricorda che, delle tante influenze orgogliosamente esibite – la geometria e il provocatorio umor nero kubrickiano, Cronenberg, addirittura incursioni hitchcockiane – quella più importante Coralie Fargeat non la ostenta, ma ne fa lo stesso carne viva per il suo film. Si tratta di Seconds (1966), il thriller fantascientifico diretto da John Frankenheimer su un uomo di mezza età, insoddisfatto e infelice, che per effetto di una miracolosa operazione chirurgica rinasce, giovane e prestante, nelle seducenti sembianze di… Rock Hudson. Lì, però, il corpo era solo uno, con esiti ugualmente problematici. La chiave di volta di The Substance è la frattura dell’identità. Demi Moore è la realtà, la naturale progressione del tempo e della natura che l’uomo non sa accettare e che la società percepisce come impietosa e sbagliata. Margaret Qualley è la risposta disperata alla percezione, il corpo giovane e bellissimo, la seconda chance, la vita non ancora contaminata dal tempo. L’illusione che le cose non finiranno.

Due corpi, lo yin e lo yang di una femminilità traballante sotto l’assedio dei diktat e delle aspettative. Il gusto per la provocazione, la filosofia del body horror che spiega l’anima dell’uomo riscrivendone il corpo e il suo linguaggio, servono a dare spessore al discorso del film e a tranquillizzare lo spettatore. Un tipo di rappresentazione più concreta e quotidiana avrebbe funzionato meno, proprio perché troppo vicina al vero, troppo scandalosa. Conta molto come Coralie Fargeat abbia deciso di raccontarci la verità, in modo cioè graficamente interessante e psicologicamente accurato. Per stare a galla in un mondo che valuta soltanto in termini di superficie e appeal sessuale, la donna tende a scomporsi in forme opposte: com’è e come dovrebbe essere. Travolge la sua identità al punto da creare un mostro, un’alternativa seducente, artificiale ma viva, affamata di bisogni e aspettative; inevitabile lo scontro.

Non hanno bisogno, Demi Moore nell’ostentazione di una vulnerabilità sincera, sopra le righe ma mai caricaturale, feroce e evitale, e Margaret Qualley, sexy e mostruosamente egoista, a armonizzare il passo e fare, di due performance, una. Sono perfette per la storia e funzionali all’interno del gioco delle somiglianze e delle differenze. La coerenza deve darla la macchina da presa. Se è vero che l’identità femminile si scompone in realtà e aspettative, in risposta a uno stimolo esteriore, è lo sguardo della società che la macchina deve fotografare con oltraggiosa sincerità: vicino, troppo vicino, soffocante, senza alcun senso della distanza, senza rispetto per l’intimità e il pudore altrui. Ossessionato dal corpo e dai segni della bellezza esteriore al punto di considerarli l’unica realtà, scordando il resto, in una logica di mercificazione della carne e denigrazione dell’anima.

È l’assedio della macchina da presa, al corpo e all’anima dei personaggi, il segreto di The Substance. Pornografia dell’immagine, ostentata e provocatoriamente ottenuta: un corpo fatto a brandelli, esibito con volgarità, per l’incapacità sociale – di tutti, uomini e donne, ma soprattutto uomini – di andare oltre. Nel denunciare il carattere scandaloso dello sguardo, Coralie Fargeat chiama in causa la complicità dello spettatore. Lo spettacolo si offre sempre allo sguardo dello spettatore. Potremmo scegliere di non guardare, potremmo rivolgerci altrove, ma non lo facciamo. Perché? È la forza sotterranea del film, oltre i toni su di giri e la cornice caricata, il rapporto provocatorio instaurato con lo spettatore nel mettere in scena un’immagine che è allo stesso tempo denuncia e riscatto, problema e soluzione. Siamo noi i protagonisti di The Substance.

The Substance: valutazione e conclusione

Body horror sui generis, caricato e sarcastico, The Substance nasconde la sua vitalità sotto una pelle, una superficie, una narrazione, fatte di bellezza e disgusto, provocazione e vulnerabilità. Consacra l’appetibilità, anche in chiave autoriale, della lanciatissima Margaret Qualley. Regala il ruolo della vita a Demi Moore. Non è la risposta definitiva in materia di sguardo, aspettative, femminilità, tempo che passa. Ma ha dalla sua un’argomentazione solida e un’esposizione convincente. Forse il film ha troppa fiducia nella sua natura anticonformista, è troppo innamorato della sua intelligenza. La forza del cinema però consiste nel deformare la realtà per aiutarci a capirla meglio. The Substance lo fa, scomponendosi in livelli di senso non ugualmente efficaci, ma tutti interessanti. Da vedere!

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3