The Villainess: recensione del film di Jung Byung-jil
Una storia d'amore e di vendetta; Jung Byung-jil costruisce il film come fosse un'esplosione cinetica, un ritratto fervente della sete di sangue che la disperata determinazione può provocare.
Una storia d’amore e di vendetta: d’amore per se stessi e di vendetta per un sogno familiare che non c’è, il tutto declinato al femminile. Così si potrebbe riassumere la trama di The Villainess, opera diretta da Jung Byung-jil, che si avvale di un personaggio inarrestabile e profondamente sensibile, che si traduce in una donna a cui è stato negato tutto, ma che è decisa a salvarsi da sola.
The Villainess: una storia al femminile d’amore e di vendetta
Sook-hee è una vera e propria macchina da guerra. Addestrata fin da bambina a comportarsi più come un’automa che come una ragazza viva, Sook-hee si sveglia rinchiusa insieme a molte altre donne in un particolare istituto. Presto viene informata che è destinata, ancora una volta, a combattere per vivere, ma qui è in ballo anche la vita di sua figlia. Missione dopo missione, la protagonista inizia a riprendere possesso del suo passato e decide di iniziare finalmente a lottare per se stessa e per la propria redenzione.
Jung Byung-jil costruisce The Villainess come fosse un’esplosione cinetica, un ritratto fervente della sete di sangue che la disperata determinazione può provocare, arricchendo la storia di un’ironia beffarda, sottesa alle continue difficoltà che l’eroina si trova di fronte. Soprattutto, il film mette in scena un racconto di lenta ma inesorabile presa di coscienza della propria forza interiore, contrapponendola a quella fisica delle combattenti. Quella macchina da guerra dalle sembianze femminili che è Sook-hee cede davanti alla speranza di liberarsi di queste spoglie e dare vita a un’unità familiare a lei sconosciuta. Il suo passato costellato di finti salvatori, di uomini pronti a tutto pur di portare dalla loro parte un talento naturale come lei, porta la guerriera a decidere di lottare per se stessa, rendendo giustizia all’opposizione tra uomini e donne che troppo spesso si rivela essere impari e ingannevole. Jung Byung-jil non affronta il filone cinematografico del rape & revenge, bensì preferisce sfruttare una simile disperata violenza a favore di una ribellione forse ancora più profonda, che si rivolta contro esplicite forzature fisiche, ma anche contro subdoli inganni e sotterfugi.
The Villainess è come un’esplosione cinetica
Tutti gli ostacoli incontrati in passato le sono stati posti da uomini, ma adesso sembrano arrivare anche da parte di chi potrebbe condividere con lei questo giogo, ossia le sue compagne. A partire dall’iniziale bluff delle colleghe, recluse come lei, fino alla sua seconda vita negli spettacoli teatrali, la sua vera identità viene continuamente allontanata dallo spettatore, salvo poi riemergere con determinazione a colpi di omicidi e nuove scoperte. Sook-hee, i cui lineamenti sono quelli di Kim Ok-bin, rappresenta il sunto del messaggio di Jung Byung-jil, potente sia dal punto di vista estetico che da quello più profondo. Il regista riesce infatti a comprimere nelle violente esplosioni della protagonista una quantità pressoché infinita di sfaccettature e maschere che educazione e imposizioni sociali pongono sul volto di ognuno. Eppure da qualche parte, persino sotto le facciate più durevoli, si nascondono istinti e sentimenti umani e The Villainess esprime esattamente questo dato. Ed è anche evidente la critica ai comuni rapporti tra uomini e donne, alla gestione imperante delle dinamiche sociali che accetta una ribellione femminile solo se mossa da insopportabili sofferenze o da moventi ben più venali.