The Void: la recensione dell’horror più discusso del web
I due quinti del collettivo indie canadese Astron-6, Jeremy Gillespie e Steven Kostanski, scrivono e dirigono The Void, un disturbante ibrido fantahorror in bilico tra La Casa, Alien e The Mist, con tanti effetti speciali e qualche problema narrativo
Dopo una carriera nell’Art and Make Up Department, Jeremy Gillespie e Steven Kostanski decidono, con The Void, di lanciarsi in un progetto ambizioso, nostalgico e imperfetto, in cui la messinscena supera la narrazione, strizzando forse un po’ troppo l’occhio agli horror del passato e lasciando lo spettatore sospeso per troppo tempo, spingendolo verso un finale frettoloso e approssimativo, in netto contrasto con il tono narrativo subito precedente.
The Void ruota attorno a un triangolo nero, leit motiv e fil rouge della narrazione, simbolo di una misteriosa setta che si muove silenziosamente nei boschi: la setta somiglia molto, esteticamente, a un rinnovato KKK; è silenziosa, si muove in branco e tende a circoscrivere le sue “aree di interesse”. Non è quasi mai chiaro il suo coinvolgimento nella storia, ma la sua onnipresenza a mo’ di Deus ex machina fa comprendere subito allo spettatore che è proprio lei il cuore pulsante della narrazione, che è lì dove tutto inizia e finisce.
Il triangolo, d’altronde, assume in ogni cultura un significato estremamente profondo: divenuto anche nel cattolicesimo simbolo di Dio (uno e trino, come sono tre le facce del triangolo), il triangolo rappresenta unità, perfezione, ritorno all’origine.
The Void è un film acerbo e sperimentale, con tanti spunti interessanti ma pochi sviluppi narrativi
Nonostante le aspettative elevate, e una campagna promozionale davvero efficace, The Void rimane un film acerbo e sperimentale, ricco di input e idee interessanti ma povero di sviluppi narrativi e con una sceneggiatura incredibilmente povera, frettolosa, debole.
Il prologo di The Void è bellissimo, però, bello e potente, e trasporta lo spettatore nel mezzo della narrazione, lasciandolo lì, nei boschi, da solo e al buio, in balia del suo stesso terrore.
Poi succede qualcosa: la narrazione si sposta nella sala d’aspetto di un ospedale, in cui tutti i personaggi della storia fanno il loro ingresso, a volte restando in disparte, a volte prendendo la parola e l’azione.
“So far so good” direbbero gli inglesi ed è effettivamente così: fino a che l’orrore rimane in sordina, disturbante ed inquietante, The Void è un ottimo film, in cui i momenti di pathos si alternano perfettamente a quelli di tranquillità, in un valzer perfetto di eutimia ed euforia che da tanto non si vedeva in un film horror.
The Void resiste fino a che il male rimane sottinteso, fino a che il mostro non si rivela allo spettatore
Nel momento in cui compare il primo mostro, però, la magia svanisce completamente e The Void precipita rovinosamente nel suo stesso vuoto: dopo un prologo efficace e un corpo narrativo interessante, Gillespie e Kostanski arrivano all’epilogo con una velocità inspiegabile, in cui le scene sembrano incollate a caso e senza un reale nesso narrativo, quasi come a voler mostrare tutto senza raccontare niente.
È vero, il virtuosismo visivo è figlio del cinema horror, ma rischia di diventare un esperimento grossolano e fallimentare se non è supportato da una sceneggiatura solida e articolata: come in It Follows, anche in The Void la voglia di mostrare soppianta completamente quella di raccontare, ed è questa una grande pecca del cinema horror contemporaneo.
Al di là delle premesse promettenti (perdonate il gioco di parole), The Void rimane un esperimento nostalgico di recupero degli anni Ottanta e delle sue atmosfere, ma il film finisce per prendersi troppo sul serio e trasformarsi in un fandom, dimenticandosi completamente di essere un film.
Di seguito, alcune delle bellissime locandine di The Void