Korea Film Fest 2021 – The Wandering Chef: recensione del documentario
Il celebre chef Lim Ji-ho viaggia da un'estremità all’altra della penisola coreana a caccia di ingredienti naturali e inusuali. Finché un giorno incontra qualcuno di molto speciale sulla sua strada...
La regista Park Hye-ryoung conosce molto bene Lim Ji-ho, il cosiddetto “Chef Errante”. Non solo in virtù degli 80 minuti di questo documentario (corrispondenti a mesi di girato), ma perché in Corea del Sud The Wandering Chef è stata anche una serie televisiva di grande successo, che ha permesso di ampliare il bacino d’utenza del rinomato cuoco. A risultare fin da subito vincente, in questo caso, è l’approccio “umano” al personaggio: siamo lontani dai pur ottimi Jiro e l’arte del sushi (2011) e Ramen Heads (2017), qui a emergere è l’introspezione e la riflessione.
Perché Lim crea cibi gustosi e sani con ciò che altri esperti di alta cucina rifiuterebbero categoricamente. Mentre quindi da un lato ha un rinomato ristorante stellato che serve interpretazioni gourmet delle sue conoscenze, dall’altro è altrettanto abile a preparare piatti semplici e casalinghi che attingono alle tecniche regionali. È interessante quindi come The Wandering Chef – documentario presente al Korea Film Fest 2021 – sposti la sua e la nostra attenzione dalla storia di un famoso e prezzolato chef a qualcosa di più sorprendente, commovente e contemplativo.
The Wandering Chef: un tributo, malinconico, a tre madri
Lo spettatore, di fronte a uno spettacolo così anomalo, prova una immediata sensazione di comfort e relax, gli stessi vissuti sulla propria pelle da Lim, che lungo i suoi viaggi di foraggiamento nelle zone più remote della Corea incontra moltissime persone con cui stringe durature amicizie. Lo chef sembra avere un vero interesse in particolar modo per gli anziani, non solo per la loro conoscenza del cibo ma anche per la loro compagnia. L’amicizia con Soon-gyu, 80enne che vive in un villaggio rurale con suo marito a cui offre una ciotola di zuppa, è uno dei cardini dell’opera.
Un rapporto quasi filiale, che fa emergere il trauma vissuto in gioventù dal protagonista. Soon-gyu è per lui una sorta di “terza madre”, dopo la prima biologica che l’ha abbandonato a tre anni e la seconda adottiva morta quando lui aveva 22 anni. Da quel momento Lim ha iniziato a vagare, e il documentario sembra vagabondare con lui mentre fa trekking sulla montagne in cerca di bizzarri ingredienti. La cinepresa cammina con lui, lo segue e lo ascolta testimoniando in modo silente come il cibo possa essere un mezzo per esprimere e tentare di elaborare sentimenti coinvolgenti e indescrivibili come l’amore e il dolore.
Ode alla famiglia e al potere di guarigione del cibo
Con The Wandering Chef, quindi, siamo di fronte a un’esplorazione delle nostre relazioni emotive con il cibo, e di come il cibo sia spesso usato come un’estensione del nostro trasporto per gli amici, la famiglia e chi amiamo. Da un punto di vista registico, non è da sottovalutare il modo in cui Park Hye-ryoung plasma il materiale a disposizione, sostanzialmente eliminando il concetto di tempo grazie ad un abile gioco di montaggio. Non sappiamo quanto sia davvero passato tra una visita al villaggio e l’altra, e non sappiamo in quanto tempo il film sia stato girato.
Si tratta di una vera e propria ellissi, una rimozione consapevole, come a dire che quello di Lim Ji-ho è un viaggio personale in cui lo scorrere delle ore, dei giorni e dei mesi non ha alcun significato. Qui l’importanza non è data dai dettagli, ma piuttosto dall’esperienza. Non conta quante stagioni siano passate: ciò che conta è comprendere come attraverso il cibo e la cucina si possa guarire. L’abilità e il talento possono portare fama e rispetto, ma come dimostra questo piccolo documentario anche il più semplice piatto può cambiare la vita se è fatto, offerto e ricevuto con attenzione e cura.