Venezia 74 – This is Congo: recensione del documentario di Daniel McCabe
Fuori concorso a Venezia 74, This is Congo di Daniel McCabe esplora tra liricità e narrazione i conflitti che dilaniano questa parte dell’Africa nera.
Nel centro esatto del continente africano si estende un gigantesco buco nero che va sotto il nome di Repubblica Democratica del Congo. Qui Joseph Conrad ambientò il romanzo Cuore di Tenebra. Il Congo è il secondo paese dell’Africa per dimensioni, una terra ricoperta da foreste, altipiani, catene montuose e, soprattutto, da ricchissimi giacimenti minerari: una ricchezza che storicamente è sempre stata la vera condanna dell’Africa e il Congo non fa di certo eccezione, sottoposto com’è ad uno sfruttamento perenne da parte dei paesi occidentali prima e dalla serie di leader più o meno corrotti, che dagli anni ’60 in poi, si sono succeduti alla guida del paese. Quello che abbiamo di fronte è un Paese debole e diviso, una terra devastata da una guerra civile ventennale, che è già costata la vita a quasi 6 milioni di persone, il conflitto forse più sanguinoso dopo la seconda guerra mondiale, nonché il più trascurato dai media occidentali.
È stato sicuramente questo uno dei motivi che ha avvicinato l’americano Daniel McCabe, impiegato nel 2008 come fotografo di guerra nella zona est del Congo, alla storia recente di questa parte dell’Africa nera. L’esperienza sul campo avrebbe ben presto aperto gli occhi al reporter circa la complessità della situazione politica congolese e la necessità di rimettere ordine nel caos, di esplorare le radici profonde dell’ondata di guerre che da oltre due decadi sconvolgono il paese e del loro rapporto con il Congo odierno.
This Is Congo è una testimonianza in perfetto equilibrio tra narrazione e giornalismo, un concerto di voci diverse accomunate dallo stesso amore per il proprio paese
Ma per fare questo, si sarebbe reso conto McCabe, la fotografia da sola non sarebbe stata neanche lontanamente sufficiente: sarebbe spettato al cinema, all’immagine in movimento, il compito di cogliere i rivolgimenti e le subdole macchinazioni in atto. Da questa lunga gestazione vede la luce il documentario This Is Congo, presentato fuori concorso alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia. Un film “concettuale”, come lo definisce lo stesso regista, il cui scopo è scovare le cause, il perché di questa “violenza ciclica” che costringe il paese in ginocchio, in un periodo, quello tra il 2011 e il 2012, (data di inizio delle riprese), che vede il Congo in balia dell’ennesima rivolta: quella capeggiata da Makenga Sultani, leader del gruppo di ribelli passato alla storia con il nome di M23.
Per raggiungere questi obiettivi McCabe si è servito di quattro personaggi chiave, vere e proprie colonne portanti del film. Nessun testimone occidentale, quindi, ma congolesi che in prima persona raccontano la propria quotidianità, il proprio modo di sopravvivere in tempo di guerra. Una dichiarazione di intenti che, del resto, è evidente a livello filmico fin dal largo impiego da parte del regista di primi e primissimi piani dei personaggi.
Rinunciando al punto di vista occidentale, McCabe lascia la parola a quattro protagonisti, vere e proprie colonne portanti del film
Lo spettatore segue così le vicende di Mamadou Ndala, giovane e rispettato comandante del 42° Battaglione dell’Esercito Nazionale, soldato amato dalla popolazione, figura dai contorni quasi eroici, che incarna gli ideali di patriottismo e amore per il proprio paese. Una testimonianza che si alterna a quella del colonnello “Kasongo”, nome fittizio adottato da un alto ufficiale dell’esercito congolese che ha partecipato al film a patto di poter mantenere l’anonimato e tutelare, così, la propria famiglia.
Sarà la sua voce fuori campo, affidata alla lettura dell’attore ivoriano Isaach De Bankolé, a sviluppare un’analisi disillusa, dolorosamente consapevole dei mali che piagano il Congo come oggi si presenta: le ricadute storiche della colonizzazione occidentale, le responsabilità dell’attuale governo presieduto da Joseph Kabila, i complicati rapporti con il Ruanda, gli intrighi e le prevaricazioni ai danni dei civili da parte dello stesso Esercito Nazionale.
Accanto ai due soldati, figurano poi due personaggi del popolo, due civili che, in questo scenario di guerra, tirano avanti come possono: Bibiane “Mama Romance”, prosperosa trafficante di pietre preziose, entrata nel mercato nero per sostenere i bisogni della propria numerosa famiglia, e Hakiza Nyantaba, sarto costretto ad abbandonare la propria casa, con la vecchia macchina da cucire sotto il braccio, risentito e determinato nel puntare il dito contro quegli stessi soldati che, invece di proteggere la popolazione, aggiungono soprusi ai soprusi. La macchina da presa si muove tra queste quattro storie, quattro percorsi che corrono paralleli senza mai incontrarsi ma che, passo dopo passo, come altrettante tessere di un puzzle, restituiscono allo spettatore un’immagine chiara e nitida del Congo odierno.
McCabe decisamente trionfa nel districare la matassa dei rivolgimenti in atto nel paese e lo fa in perfetto equilibrio tra giornalismo e narrazione cinematografica, dove le riprese degli altipiani e del suggestivo paesaggio africano non scadono mai nella volontà di “esotizzare”, mai la realtà viene distorta da una finzione di comodo. Il documentario si presenta come una testimonianza, alla quale va il merito di non prendere le parti di nessuno, governo o ribelli, ma dei congolesi tutti, offrendo al posto di una visione semplicistica un concerto di voci diverse, sì accomunate dallo stesso amore per il proprio paese, ma che lasciano allo spettatore l’ultima parola. “This Is Congo”, sembra voler dire il regista, agli occidentali il compito di trarne le conclusioni.