Timor – Finché c’è morte c’è speranza: recensione
Una black comedy da vedere a cuor leggero, con la consapevolezza che la vita va presa così, come un film, col colpo di scena sempre dietro l'angolo!
Valerio Di Lorenzo, già candidato ai David di Donatello nel 2021 per Quid, firma con Timor – Finché c’è morte c’è speranza una black comedy che attraversa con acume la psiche umana e come un affilatissimo ago cuce insieme la morte all’amore (fluido), la prospettiva lavorativa alla filosofia, il senso di amicizia all’importanza della famiglia, sfiorando persino la politica.
Una commedia corale in cui ogni personaggio si incastra perfettamente all’altro, in una sincronia dinamica che vuole infondere a Calamaro (Rocco Marazzita) l’immagine della razionalità, affidare a Freud (Dario Benvenuto) il ruolo del pensatore, a Gianmaria (Emanuele Vircillo) quello del poeta fattone appassionato di droga. A Giorgio Montaldo (Jason) tocca prestare il volto a un bambinone romantico con davvero poco sale in zucca, mentre Francesca Olia veste i panni di Rebecca: una mancata killer che gioca a fare la bad girl col cuore di due amici. E poi c’è il morto, ovvero Emanuele (Sandro Bonvissuto), che si vede poco ma di cui si sa abbastanza, come il fatto che ha una relazione vissuta alla luce del sole con la trans Alessandra (Stefania Visconti), la cui gelosia è per certi versi il carburante di cui questa storia necessita per partire.
Per questo gruppo eterogeneo la morte accidentale di un amico diviene la tavolozza sulla quale testare i loro nervi saldi, la metafora di un modus vivendi che non sembra essere all’altezza della vita stessa e che ci spinge a solcare la soglia dei loro stati d’animo e delle loro piccole ambizioni, talvolta lontane da quel corpo senza vita che giace nella stessa casa in cui bevono, fumano, mangiano e invitano sconosciuti.
Quella casa che si fa palcoscenico di una riflessione astrusa circa la morale: i protagonisti camminano sul filo del rasoio, in un interrogativo perenne che da un lato li fa vergognare per quanto sta accadendo e dall’altro li fa lucidamente interrogare sul da farsi, su quale sia il modo migliore per uscirne puliti.
Metacinema e una musica che ci fa letteralmente viaggiare
Già a partire dal titolo del film Valerio Di Lorenzo, che si è occupato anche della sceneggiatura insieme ad Andre D’Andrea, immette il seme da cui fiorisce l’intera narrazione. In quel “Timor” è custodita infatti la paura che qualcosa di doloroso e catastrofico stia per accadere. Nel caso dei protagonisti, ciò che si aspettano di più è chiaramente la condanna al carcere: un pensiero che li induce a fare bilanci sulla loro vita, a farsi un vero e proprio esame di coscienza su ciò che di concreto e positivo hanno fatto fino a quel momento. È come se, contemporaneamente alla morte fisica dell’amico, si stesse avverando la loro fine, non carnale ma spirituale.
Spicca senza dubbio tra tutti la verve del personaggio interpretato da Francesca Olia, fin da subito capace di prendere decisioni drastiche e fredde e di azionare dei ragionamenti che la fanno sentire dentro un film.
Ecco, a proposito di questo! Timor – Finché c’è morte c’è speranza gioca molto col linguaggio metacinematografico: nessuno di loro è consapevole di essere dentro un film, eppure giocano a esserlo, a calarsi nei panni di killer iconici, da Dexter a Norman Bates, imitandone i ragionamenti e le mosse. Il tutto provvisto di una soundtrack in cui la batteria accarezza timpani e immagini, anticipando e arricchendo la narrazione fin dal primo frame. Un design sonoro fatto di rotture, precisioni, cronache che attraversano i rumori emergendo vivi sul grande schermo, balzandoci da Nextgen Show di Amaksi a Shine Bright di Mikola Lemeshko, passando per Bella ciao, Sneaking Out (RocaMusic), Black and white piano ambient (Frequently Asked Music).
Timor – Finché c’è morte c’è speranza: valutazione e conclusione
Una visione che si porta appresso le lacune e l’acume del cinema indipendente, donandoci una visione piacevole e poco pretenziosa, che non pretende riflessioni né stomaci esageratamente forti. Timor – Finché c’è morte c’è speranza è un film da vedere con la leggiadra consapevolezza che ciò che passa per lo schermo sia finto (ma potrebbe sempre essere vero) e che la vita va presa così, come un film, col colpo di scena sempre dietro l’angolo!
Timor – Finché c’è morte c’è speranza è al cinema dal 7 novembre 2024 prodotto da Blooming Flowers e Sarabi Productions e distribuito da Blooming Flowers