Tre tocchi: recensione
Presentato al Festival internazionale del film di Roma, Tre tocchi di Marco Risi è la storia di sei personaggi in cerca di una loro autorialità, di un futuro e di una personalità. La pellicola narra di sei storie di attori, o meglio, storie di uomini, con tutte le conseguenti passioni e frustrazioni, gioie e delusioni, successi e fallimenti. Queste vite profondamente diverse risultano alla fine accomunate da due grandi passioni: il calcio e il lavoro. Ed è tra un allenamento e un provino che le vite di questi ragazzi continuamente si sfiorano e si incrociano senza mai effettivamente toccarsi profondamente, ci svelano con i loro atteggiamenti la misera esistenza, fatta ogni tanto anche di successi e momenti di gloria, ma sicuramente mai di vera, assoluta, felicità.
Gilles è un attore di soap, bello e desiderato dalle ragazzine, spavaldo apparentemente, ma così insicuro e debole che finisce nel tunnel della droga e si circonda di pessime frequentazioni. Vincenzo passa le sue giornate in ospedale al capezzale del padre, è sempre cupo e molto silenzioso, si mantiene cantando in un ristorante, nonostante il suo talento e la bellezza prorompente. Convive con un senso di rabbia così forte e con una frustrazione tale che lo portano a sfogarsi nella sessualità e nella violenza fisica. Leandro, il più grande del gruppetto, torna nella sua città natale, Napoli, con una consapevolezza e determinazione diversa da quella in cui la aveva lasciata molti anni prima. Decide di chiudere i conti con un passato ingombrante ed oscuro e, sotto le smentite spoglie di Jennifer, il trans che interpreta a teatro, ci regala la sua rinascita rimettendo in discussione la propria intera esistenza. Anche Max torna spesso nella sua terra di origine, la Basilicata, ogni volta che sente di perdere il senso della realtà e vuole riprendersi da qualsiasi delusione, non poche a dir la verità. Si era illuso infatti di poter fare una vera carriera, ma si ritrova ad un doloroso bivio: se cedere o meno alla proposta di sposarsi con la figlia di un ricco albergatore. Antonio invece fa teatro, grazie anche alla donna che lo mantiene e che però ha trent’anni più di lui, ma è coraggioso, si è rimesso in discussione, ha studiato, ha rischiato, e ha vinto la sua personale battaglia contro la vita. Affronta il provino che gli permetterà di fare il protagonista di un film, contro chi non credeva in lui, contro chi non lo considerava all’altezza, anche contro se stesso, dimostrando una grande verve vitale. Chi invece non vincerà mai è Emiliano. Lui purtroppo si è arreso alle insicurezze, ha perso la determinazione e la voglia di vincere e andare avanti. Il lavoro da facchino e il passatempo da doppiatore hanno rubato tempo alla recitazione e lo hanno portato a rinchiudersi in un mondo fatto solo di sogni spesso proibiti e proibitivi.
Difficile essere padroni della propria vita, Risi ci mostra come è a volte non possiamo essere ciò che vogliamo ma potremmo, in qualche modo, lottare per affermarci e non perdere la nostra battaglia con l’esistenza. Questa possbilità non sempre si evince dalla pellicola, facendo spesso sprofondare lo spettatore in un baratro di disillusione e di tristezza troppo ragguardevoli. Eccessivo.