Tokarev: recensione del film con Nicolas Cage
Un presente da onesto e rispettato cittadino, un passato da losco malavitoso: chi ha rapito la figlia dell'immobiliarista Paul Maguire non sa che la sua vendetta sarà spietata e furiosa, fino alle più estreme conseguenze.
Leggenda vuole che Nicolas Cage – nipote del regista Francis Ford Coppola e cugino di Sofia Coppola – accetti qualunque ruolo gli venga proposto, per poter ripianare i debiti accumulati e continuare a potersi permettere una vita dissoluta fatta di gioco d’azzardo, consumo di stupefacenti e abuso d’alcol. La sua esistenza è ormai divenuta oggetto di culto, mentre il suo volto campeggia ormai in moltissimi meme e un po’ tutti si domandano se sia un attore di talento o un disastro totale.
Impossibile dare una risposta, perché il Nostro alterna interpretazioni sofferte e convincenti ad altre fatte col pilota automatico e/o in totale overacting (a causa anche, è bene dirlo, di sceneggiature scritte maldestramente). Per indagare questa “schizofrenia” artistica basta prendere un qualunque anno della sua carriera: nel 2014, ad esempio, il buon Nic ha girato ben 4 film, tra cui spicca – in mezzo a produzioni dozzinali sbeffeggiate ad ogni latitudine – Il nemico invisibile di Paul Schrader.
Tokarev: la quiete prima della tempesta
Anche Tokarev (titolo europeo dell’originale americano Rage, che a suo modo rende forse meglio la natura della storia) è del 2014, e non aiuta di certo a risolvere l’enigma. Qui Nicolas Cage è Paul Maguire, un onesto uomo d’affari con un torbido passato nella malavita organizzata. Occhio spento e viso di cemento, il protagonista ci viene presentato nell’idillio casalingo, mentre bacchetta la figlia 16enne perché non ha ancora svolto i compiti e mentre dialoga amabilmente con la moglie del ristorante in cui stanno andando a cena.
Essendo un film che fa dell’approssimazione “un tanto al chilo” la sua cifra formale, queste sequenze sono intrise di una spessa coltre di luoghi comuni e buonismi assortiti. È il preludio al disastro imminente: mentre la coppia è assente, la ragazza viene rapita. Forse dalla mafia russa, o forse dal mob irlandese. Ritornano a galla i vecchi errori commessi da Mr. Maguire in gioventù (anche perché la sua attuale fortuna è basata proprio su un episodio criminale di quasi 20 anni prima), e inizia quindi la caccia all’uomo per salvare la figlia e vendicarsi dei malfattori.
“Sono morti, solo che ancora non lo sanno!”
Non possiamo dire che il film di Paco Cabezas punti sull’originalità: esiste tutta una filmografia – peraltro recente – dedicata al regolamento di conti in salsa genitoriale. Pensiamo a Liam Neeson e ai suoi vari Taken: film revanscisti e ricattatori, moralmente riprovevoli come del resto è l’antieroe impulsivo Nic Cage quando rivolto al presunto ragazzo di sua figlia gli urla in faccia “Se le succede qualcosa ti riterrò personalmente responsabile”. Non si va per il sottile, insomma, e del resto sarebbe sbagliato aspettarsi qualcosa di diverso e più filosofico. Eppure (e questo forse aumenta il rammarico) in Tokarev ci sono alcune buone idee; solo che faticano a farsi sentire, soffocate come sono dagli artifici, dagli spari e dalle urla.
Sotto la sua superficie iperattiva e sanguinosa, l’opera dello spagnolo Cabezas desidererebbe affrontare i grandi temi del destino e della redenzione. Il messaggio appare in filigrana: ciò che si cerca di dimostrare è l’inutilità, più che il piacere e la soddisfazione, di una violenta vendetta. Ma le buone intenzioni non possono bastare, e qui si infrangono sul muro di uno script che tratta i cliché come epifanie: musica, immagini e dialoghi sono sempre dozzinali e sempre superficiali, con la perenne risultante di un prodotto privo di profondità, in cui i momenti più lenti sono solo di transizione. E mentre si procede a rapide falcate verso l’inseguimento o la scena d’azione successiva, ci si rende conto che a nobilitare l’operazione è (ancora una volta!) Cage, in eterno equilibrio tra la farsa imbarazzante e la perfetta mimesi attoriale.