Cannes 2019 – Tommaso: recensione del film di Abel Ferrara
Recensione di Tommaso di Abel Ferrara presentato fuori concorso a Cannes 2019 con Willem Dafoe: un percorso personale e psicanalizzante nell'estate romana.
Willem Dafoe si aggira per le strade di una Roma estiva. Butta la spazzatura, si ferma a fare la spesa al mercato locale e poi frequenta una lezione di italiano con un insegnante privato. Non si tratta di un documentario anche se ne ha tutta l’aria, ma del film di Abel Ferrara intitolato Tommaso, presentato fuori concorso alla 72° edizione del Festival di Cannes.
Come Antonio Banderas in Dolor Y Gloria rappresenta l’alter ego di Pedro Almodóvar, qui Defoe sembra interpretare il regista con cui ha lavorato più volte, per un film molto personale e realistico. Tommaso è un regista indipendente americano che abita a Roma, nel quartiere Esquilino con una giovane moglie di origini moldave (Cristina Chiriac) e la figlia di tre anni. Ha un passato da tossicodipendente, ma ora prova ad accontentarsi del tempo passato con la sua famiglia. La sua “nuova” vita scorre serena scrivendo seduto davanti al computer, insegnando recitazione a giovani aspiranti attori, passando i pomeriggi al parco con la piccola Deedee e discutendo con la moglie Nikki su varie questioni, spesso legate alla loro differenza di età. Ma un giorno l’equilibrio comincia a sgretolarsi quando Tommaso scopre un tradimento e le sue insicurezze tornano alla carica alimentando anche un sentimento di rabbia difficile da ignorare.
Tommaso: Abel Ferrara usa Willem Dafoe come alter-ego per raccontare la storia di un padre
Ferrara propone un diario intimo di un padre, un marito e un uomo, affidando tutta la responsabilità a Willem Defoe con cui ha realizzato precedentemente i film New Rose Hotel, Go-go Tales, 4.44 L’ultimo giorno sulla terra e Pasolini. In qualità di “home movie” Tommaso racconta la quotidianità di un protagonista diviso tra lavoro, famiglia e amore, che deve fare i conti con alcuni fantasmi del passato e un presente confuso e incerto nonostante le apparenze. Si potrebbe interpretare come una seduta di psicoanalisi di Abel Ferrara vista la sincera condivisione di dolorose esperienze personali e la ricerca di tecniche new age per imparare a rilassarsi con la respirazione e controllare i propri impulsi.
Qua e là all’interno del film si nascondono tentazioni irresistibili, come le figure femminili senza veli che appaiono al bar e sul luogo di lavoro, e preme la voglia di reagire di fronte a situazioni difficili. Il regista inserisce componenti astratte in una narrazione di base tradizionale, per dare libero sfogo ai pensieri e i sentimenti del suo protagonista.
Tommaso è un racconto sincero a tratti tenero e ironico, ma anche violento e viscerale. Defoe regala un’ottima performance, incarnando le riflessioni dell’autore che lotta con se stesso per trovare il suo vero Io. Tuttavia la struttura generale del film, seppur coerente, presenta delle falle che incidono sull’effetto finale. Il ritmo è abbastanza sostenuto e lineare dall’inizio alla fine, e lo stile di regia è intrigante nella sua semplicità sofisticata, ma la sceneggiatura ha qualche punto debole per la mancanza di un nucleo centrale solido.
Non c’è una guida in grado di orchestrare in modo armonioso i vari ingredienti di un film che ha un’anima dichiaratamente realistica, ma si lascia andare ogni tanto al surreale trascinando lo spettatore in una dimensione dove regna l’ombra del risentimento e della rassegnazione.