Touch: recensione del film di Baltasar Kormákur dal Taormina Film Festival 2024

Una storia romantica in cui passato e presente convivono, trafitte dolcemente dalle assonanze tra Islanda e Giappone, con la musica e la Storia in sottofondo.

Passato e presente si compenetrano in un film che vive due vite e riesuma sentimenti contrapposti: Touch di Baltasar Kormákur, presentato al 70° Taormina Film Festival e al cinema dal 29 agosto 2024 con Universal Pictures International Italy, fonde la delicatezza di una storia d’amore con le scomposte indagini di un anziano signore (Kristofer, interpretato da Egill Olafsson), in un viaggio che si fa strada tra le vie dei ricordi, incrociando storie di persone e di Paesi e allacciandosi le scarpe che portano al cuore con l’odore di una colazione giapponese, col fragore doloroso della bomba atomica, con i suoni di una canzone e col ritmo minimale della poesia.

“I start a revolution from my bed”: ciò che cantano gli Oasis in Don’t Look Back in Anger potrebbe essere quasi l’introduzione e la sintesi di Touch. Se la band inglese strizza l’occhio alla protesta non-violenta fatta da John Lennon e Yōko Ono col famoso Bed-In durante la guerra del Vietnam (correva l’anno 1969), Kormákur – traendo spunto dal romanzo di Olafur Johann Olafsson – cita i due famosi personaggi, comparandoli per gioco ai protagonisti, tirando in causa il comunismo e infarcendo poi il tutto con dolcissime scene d’amore.
In queste circostanze, però, non si rintraccia nessuna rivoluzione. C’è, semmai, un’evoluzione gentile che spinge la narrazione avanti e indietro, scindendola in due momenti – il 2020, con la pandemia e il lockdown alle porte, e gli anni ’60 – e suddividendo la vita del protagonista in capitoli che partono dalla cittadina islandese di Reykjavik per approdare prima a Londra e poi a Hiroshima, in una continua dieresi di situazioni che si incastrano come in un puzzle.

La vita del giovane Kristòfer (Pálmi Kormákur Baltasarsson) ci porta in una Londra fatta di proteste studentesche, che si spengono oltrepassata la porta d’ingresso di un ristorante giapponese, dopo aver incrociato gli occhi di Miko (Mitsuki Kimura), la figlia del proprietario, e aver dialogato con quest’ultimo (il personaggio di Takahashi è interpretato da Masahiro Motoki), scovando le assonanze tra l’Islanda e il Giappone. La storia d’amore tra i due giovani ci trasmette immagini dolcissime, trafitte da ricordi di dolore (i danni causati dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945) e intarsiate da ideogrammi nipponici all’interno dei quali si cela un mondo intero: kodokushi (la paura di morire in solitudine) e hibakusha (che indica coloro che sono sopravvissuti al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki) sono due dei termini che vengono tirati in ballo nella narrazione, come se volessero sottolineare e scandire alcune delle ragioni che conducono i protagonisti prima a distaccarsi e poi a ritrovarsi.
Touch colleziona un flashback dietro l’altro, lasciando alle sfumature nebulose e calde della macchina da presa il compito di farci entrare in immagini di un tempo lontano, che diventano affettuosamente accoglienti, specie se rapportate alla freddezza distaccata e moderna del periodo della pandemia.

Touch recensione cienmatographe.it

I personaggi interpretati da Pálmi Kormákur Baltasarsson e Mitsuki Kimura (nella versione giovane) e da Egill Ólafsson e Yôko Narahashi (Kristofer e Miko da adulti) sono più belli che profondi, più romantici che coraggiosi: le loro effusioni sul grande schermo si agitano delicatamente come in un poema per immagini destinato agli adolescenti, mentre la forza che dovrebbe farli aggrappare l’uno all’altra e modificarne il destino scivola lasciva senza trovare ostacoli, facendoli riemergere alla fine della vita col perdono in bocca e una lacrima sul cuore.

La musica di Inga Magnes Weisshappel, spezzata dal ritmo riconoscibile di artisti come John Lennon e The Zombies, ci guida nel fulcro di una storia che si lascia agevolmente guardare e ascoltare, traslitterata in diapositive che fanno anche venire l’acquolina in bocca.
Touch ci insegna la leggerezza di una carezza, dilazionandola in eterno, e corre fluido come un fiume per gran parte del suo minutaggio, salvo poi arenarsi su alcuni snodi della sceneggiatura, alimentando domande dalla risposta retorica.

Touch: valutazione e conclusione


Ritirando in ballo gli Oasis, potremmo dire che Miko e Kristofer a fare la rivoluzione dal proprio letto ci provano, ma ciò non serve che a produrre qualche smilza poesia di baci. La vera forza sarebbe stata quella di riuscire a scrollarsi di dosso le lenzuola e ad affrontare la vita vera. Ciò che resta sul cuore, alla fine della visione, non è che un tocco leggero, la certezza che la vita è brevissima e che l’amore è eterno. E la quiete, già, questa accettazione immutabile, che non conosce rimorso. Forse manca, nella trama, la parola “shoganai”. O forse, molto più correttamente, mancano il coraggio e un po’ di ritmo.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.8