Transformers One: recensione del film d’animazione

Josh Cooley (Toy Story 4) dirige Transformers One, il primo film d'animazione dedicato ai giocatotli Hasbro dal lontano 1986. Dal 26 settembre 2024 in sala, ecco a voi l'origin story di Optimus Prime e Megatron.

Era dal 1986 che non si vedeva un film così, sui Transformers: pura animazione, senza interferenze live-action. Il precedente vecchio quasi quarant’anni si chiama Transformers: The Movie, nell’intervallo c’è stato il franchise firmato Michael Bay e cominciato con il primo Transformers (2007). Lì si trattava di un cinema ibrido uomo – digitale, qui di umano non c’è nulla e per una volta è meglio così. Transformers One, in sala in Italia il 26 settembre 2024 per Eagle Pictures, è il primo di una trilogia di film dedicati ai notissimi giocattoli Hasbro e il secondo di sola animazione dalla metà degli anni Ottanta. È un prequel, più precisamente un’origin story, diretta da Josh Cooley (Toy Story 4) e interpretata – è il cast vocale originale – da Chris Hemsworth, Scarlett Johansson, Jon Hamm, Brian Tyree Henry, Laurence Fishburne, Keegan Michael Key e Steve Buscemi. Il focus è sulle origini della faida tra Autobot e Decepticon, partendo dalla storia dell’amicizia (finita male) tra i due indiscussi protagonisti, Optimus Prime e Megatron.

Transformers One: il viaggio dell’eroe e dell’antieroe

Transformers One cinematographe.it recensione

Tanto tempo fa, in una galassia (di ferraglia) lontana lontana. Al di là delle vibrazioni Star Wars, che ci sono e in abbondanza, dall’estetica alla narrazione pura, Transfomers One inizia come il più classico viaggio dell’eroe. Dell’eroe e dell’antieroe, è meglio, perchè i protagonisti sono due e si chiamano Orion Pax e D-16. La storia di questa amicizia è insieme spoiler free e difficile da maneggiare. Lo spettatore non può ignorare che le cose a un certo punto andranno tremendamente storte – è il racconto delle origini, un’autentica ossessione per la Hollywood contemporanea – e quindi meglio non scendere troppo nei dettagli. Orion e D-16 sono amici, ma caratterialmente agli antipodi. Lavorano nelle miniere di Energon, la fonte energetica principale di Cybertron, non perché abbiano voglia di farlo, ma perché non hanno scelta.

Sentinel Prime, il ditt… il benevolo leader di Cybertron, l’ultimo Prime rimasto dopo la misteriosa ecatombe degli altri, ha deciso così. I protagonisti sono robot senza ingranaggi e non possono trasformarsi, sono considerati la serie B dell’evoluzione e quindi, insieme a tutti quelli come loro, fanno il lavoro sporco. Un giorno, però, Orion decide di emancipare la sua vita e anche quella dell’amico; è qui che comincia il film. Due personaggi molto diversi e su questa incompatibilità caratteriale Transformers One poggia il cuore della sua origin story, in termini di sviluppo della linea narrativa e di evoluzione psicologica. Orion è nato per ribellarsi, ma ha un grosso problema con l’autorità. Normalmente la cosa lo mette nei guai, ma nell’ora più buia può aiutarlo a trovare il fuoco di un vero leader.

D-16, al contrario, è un obbediente adepto di Sentinel Prime, abituato a non mettere in dubbio i comandi che vengono dall’altro. Quando scopre la verità sul tiranno e sulla guerra di Cybertron con i nemici giurati, i Quintessenziali, reagisce nella maniera squilibrata tipica dei fondamentalisti o delle persone incapaci di venire a patti con il proprio dolore. È abbastanza insolito, per un film d’animazione destinato a un pubblico molto giovane, arrivare a un simile livello di sottigliezza psicologica. D’altronde, uno dei piaceri di Transformers One, che da questo punto di vista è una origin story molto scrupolosa, è di guardare la solita vecchia storia da un’angolazione (psicologica) interessante, sorprendendo eroi conclamati, o amati cattivi, in pose e attitudini differenti da quelle che siamo abituati a conoscere. Completano il quadro, in maniera coerente con quanto detto fino a qui, due aiuti robotici molto importanti per i nostri. Elita, impegnata a giocare al gatto con il topo con Orion, e il nervoso e loquace B-127, che più avanti conosceremo come Bumblebee.

Un’interiorità pregevole e un’esteriorità meno originale

Un film non basta, per azzardare conclusioni perentorie, a maggior ragione se il confronto è con un franchise bello e fatto. Se c’è però un’indicazione che emerge, dall’adrenalinico, divertito ma non superficiale Transformers One, è che l’animazione è una casa azzeccata per questa mitologia e questi personaggi. Più del live-action? Il futuro della saga è essenzialmente animato? Non è il caso di correre troppo. La regia di Josh Cooley ha mordente, un buon senso del ritmo, sa mescolare con istintiva agilità umorismo e dramma e, soprattutto, alza la posta in gioco psicologica in maniera francamente inusuale per il genere, ma c’è ancora molto da lavorare.  Se la messa in scena è un prodigio di vitalità e ricercatezza digitale, cortesia di Industrial Light Magic – la leggendaria azienda di effetti speciali fondata da George Lucas – l’estetica e le dinamiche narrative che richiamano molto action (animazione o meno) degli ultimi anni raccontano la principale difficoltà del cinema commerciale, oggi: proporre una luce di novità oltre il citazionismo esasperato.

Transfomers One fa un lavoro apprezzabile nel complicare le psicologie dei personaggi, mostrando il cammino che conduce, dai grezzi e non del tutto definiti Orion e D-16, a Optimus Prime e Megatron e esplorando temi maturi e controversi per un tipo di storytelling essenzialmente infantile (leader vs. follower, cinismo e ottimismo, la lotta per l’affermazione dell’identità). Non cerca però di immergere questa profondità in una cornice narrativa e un look realmente originali. Un cinema d’avventura pregevole nella messa in scena, solido in termini di incedere narrativo e abile a orientare lo spettatore in una mappa di riferimenti (di storia, di visione d’insieme) a un classico passato – c’è tanto, tanto Lucas qui – senza mai usare questa riconoscibilità per creare un linguaggio, non necessariamente nuovo, sarebbe chiedere troppo a una proposta commerciale come questa, ma originale quel tanto che basta.

Transformers One è un prequel godibile e di ottima fattura, esteticamente lussureggiante e psicologicamente rifinito; un ottimo risultato, senza dubbio. Ma non riesce, è un peccato, a pareggiare la complessità interiore con un’esteriorità – di trama, di look – capace di veicolare un’impressione di freschezza allo spettatore. Si potrà ribattere che lo storytelling d’azione, il viaggio dell’eroe e anche quello dell’antieroe, rispondono a convenzioni abbastanza rigide e non c’è chissà che spazio per innovare. Vero, ma se pensiamo a quello che il franchise Spider-Verse ha saputo fare per l’animazione contemporanea, per Spider-Man, per il racconto del Multiverso e la politica dell’identità, si coglie il senso di (parziale) occasione mancata del pur pregevole Transformers One.

Transformers One: valutzione e conclusione

Oltre le riflessioni critiche sulle possibilità non sempre concretizzate dal cinema commerciale americano, Transformers One offre esattamente quello che promette. Divertimento e azione, umorismo – leggero ma non superficiale – e interiorità più sofferta per mostrarci l’origine di eroi (e villain) amati dal pubblico ma che così non si erano forse mai visti. Il cinema d’animazione offre ai personaggi e alla storia una fluidità, un dinamismo, una credibilità notevoli. Resta il senso di rimpianto per l’incapacità del film, sarebbe meglio dire la riluttanza, a inspessire la sua esteriorità per farla combaciare con l’interiorità – la definizione dei temi e delle psicologie – di rilievo. Transformers One, al di là dei suoi tanti pregi, conferma la difficoltà del cinema americano contemporaneo a bilanciare la natura ultra popolare dell’offerta con una proposta più ricercata e coraggiosa.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.7