Trap: recensione del film di M. Night Shyamalan
Dopo il piacevole azzardo di Bussano alla porta, M. Night Shyamalan riconquista la sala con un film intelligente e divertito.
Nonostante le – ed anzi proprio in virtù delle – controversie e i periodi più discussi della sua produzione cinematografica, M. Night Shyamalan è ad oggi una delle voci autorali più importanti che abbiamo la fortuna di conoscere e approfondire. La matrice hitchcockiana tanto presa in considerazione dalla critica non è altro che una delle tante sfaccettature fondanti del processo creativo di un autore estremamente complesso, impossibile da etichettare, e Trap ne è l’ennesima (non dovuta) conferma.
Trap: l’esperienza (non) rassicurante della contemporaneità
Shyamalan, dopo un dialogo con la figlia maggiore Saleka – giovanissima cantante di notevole bravura -, decide di costruire uno dei suoi classici thriller psicologici attorno ad un concerto – tenuto dalla stessa Saleka, qui all’occorrenza Lady Raven, che poi ricopre anche un ruolo attoriale decisivo – di ambientazione contemporanea. La moltiplicazione e la riduzione degli schermi, dei congegni tecnologici, l’ossessione del controllo che genera l’illusione della sicurezza e dell’integrità, si legano alla claustrofobia di un evento di solo apparentemente grande respiro: Shyamalan gioca proprio con questa dimensione spaesante e dispersiva della contemporaneità, sull’inquietudine sottesa dietro il sollievo forzato della simulazione e il letargo pervasivo della distrazione.
Il doppio gioco di uno Shyamalan all’ennesima potenza
I risvolti psicologici del serial killer-marito-genitore sono affascinanti e muovono le azioni di un Josh Hartnett che regala un’interpretazione memorabile, ma sarebbe un errore ridurre Trap ad una semplice caccia all’uomo e alla ricerca di fuga di un assassino in trappola. Per la prima volta, Shyamalan rivela subito il plot twist e costruisce l’intero intreccio senza ricorrere a particolari colpi di scena, e la dimensione ludica da sempre ingombrante nella sua Opera in questo film viene in tal senso raddoppiata: è il regista stesso a mettersi in trappola, a divertirsi nel cercare di spingersi oltre nonostante le carte siano già tutte scoperte; è uno Shyamalan (non) definitivo, all’ennesima potenza, all’eccesso, registicamente ispiratissimo, moltiplicato come gli schermi e come i finali che (non) trovano compimento in un’azione nuovamente (ri)generatrice ma non risolutiva.
Trap: valutazione e conclusione
Trap è un film spaesante, un’esperienza stratificata e doppiamente ludica, un esperimento inquietante e divertito tramite il quale Shyamalan riassume e al contempo rinnova le sue ossessioni rimettendosi in “gioco”.