RomaFF13 – Tre quartine e un addio: recensione
Elettra non si è ancora ripresa dalla morte della nonna e si comporta in modo strano. I parenti cercano di darle, a modo loro, alcune risposte.
Tre quartine e un addio, presentato nella sezione Riflessi della Festa del Cinema di Roma, è il documentario diretto da Fariborz Kamkari (regista iraniano di origine curda, autore de I fiori di Kirkuk) che, armato di GoPro, fa affidamento a inquadrature che risultano a tratti approssimative, a un montaggio e a un editing che non adempiono al loro dovere di confezionare un’opera degna di un festival internazionale e a prove recitative in cui dilaga la rigidezza. Un contesto tecnico in cui, tuttavia, spicca una colonna sonora realizzata ad hoc, ma che purtroppo non sembra bastare a risollevare la linea generale dell’intero film.
Tre quartine e un addio: un documentario sul lutto in una famiglia romana
Elettra è molto scossa dalla morte della nonna e fatica ad accettare che non ci sia più. Per questo motivo comincia a comportarsi in modo strano, scrive su Facebook con l’account della nonna per dire ai parenti di non essere morta davvero e che si rivedranno tutti alla sua festa di compleanno, manda messaggi col telefono della nonna alla zia e crede di poterla ancora vedere per strada. Quando però si trova faccia a faccia con la verità, l’atteggiamento di Elettra cambia e comincia a riempire di domande sulla morte i suoi parenti le cui reazioni sono molto diverse.
Diviso in quattro atti, ognuno dei quali introdotto dai versi di una poesia, il film di Fariborz Kamkari vorrebbe essere una riflessione sulla morte, una mano tesa verso un approccio diverso al lutto e all’idea della reincarnazione. Benché le idee siano nobili è la realizzazione che lascia a desiderare. Girato come dicevamo con una GoPro, Tre quartine e un addio avrà anche un approccio diverso al cinema ma il risultato è piuttosto deludente proprio perché non presenta alcuna particolarità. Non basta imbracciare una GoPro per fare un film innovativo, così come non bastava mettersi in mano un iPhone per fare Unsane. Ci vogliono idee che possono essere espresse grazie a un determinato mezzo ed effetti che solo in quel modo si è in grado di creare; senza siamo di fronte a un prodotto privo di un suo linguaggio.
Tre quartine e un addio: un progetto ambizioso per un risultato con ampio margine di miglioramento
Altro punto critico della pellicola è la recitazione, punto che, approcciando il genere documentario in modo non problematico, non dovrebbe neanche essere preso in considerazione. Sebbene dovrebbe trattarsi del racconto genuino del percorso di crescita dell’adolescente Elettra, troppo spesso sembra che i personaggi stiano recitando un copione che crea loro problemi. Questi infatti, non solo incespicano su alcune parole ma si correggono come se, appunto, avessero iniziato a recitare la battuta sbagliata e se ne fossero accorti strada facendo. A peggiorare il tutto ci si mette anche il montaggio che non tiene conto di una cosa fondamentale come il colore dei capelli di Elettra. Se, come ci viene fatto credere, il documentario è genuino e in ordine cronologico, come è possibile che la ragazzina passi da avere i capelli con le punte rosa all’inizio, per poi averli tutti castani a circa metà film e poi di nuovo rosa nell’ultimo atto?
Se Tre quartine e un addio fosse un film di poche pretese il giudizio sarebbe certamente più bonario ma non è così che si presenta. Figurando come ultimo titolo di un regista i cui lavori hanno già incontrato il favore della critica e sono anche vincitori di premi è necessario aspettarci e ottenere di più di un prodotto come questo.