Troppo cattivi: recensione del film d’animazione DreamWorks
Una storia di antieroi, didascalica all'eccesso nel rivedere le categorie di bene e male.
Cattivi protagonisti e modelli alternativi sono all’ordine del giorno in casa DreamWorks, lo studio d’animazione nato in antagonismo a Pixar proprio per dare voce alle ombre di una narrativa tacciata di imperdonabile buonismo. Dopo Shrek, la Gang del Bosco, Megamind e tanti altri, i cattivi tornano protagonisti. Questa volta però sono persino Troppo Cattivi, come recita il titolo della nuova pellicola d’animazione attesa per giovedì 31 marzo 2022 nelle sale italiane.
Una storia di antieroi, didascalica all’eccesso nel rivedere le categorie di bene e male ma divertente e d’impatto. Si torna alle origini dello Studio, alle vicende di cattivi che prendono il posto dell’eroe e conducono avventure corali alla ricerca della morale di mezzo, in cui il buono-buonissimo è in realtà il più meschino e i furfanti sono romantici bonaccioni alla Lupin.
Troppo Cattivi, ma dal cuore d’oro
I do what I want when I’m wanting to
My soul so cynical
Sulle note di
Billie Eilish entrano in scena i Troppo Cattivi.
Cinici, imbroglioni, divertiti e annoiati da una vita che li ha resi volto vittorioso di un male intestino alla città. Colpo dopo colpo, arraffano ricchezze per il gusto della fuga che strenuamente la polizia intenta a proprio danno. In un mondo abitato da animali senzienti, che ricorda anche per temi la
Zootopia (2014) Disney, sono i cattivi per una legge di natura, ma natura narrativa. Il boss è infatti un lupo,
Mister Wolf, compare e collega dello scassinatore
Mister Snake. Seguono
Mister Shark,
Piranha e
Tarantola. Le abbiamo tutte, dall’aracnofobia allo stereotipo sugli Squali – nato in seno al cinema per colpa e fortuna di Spielberg – una cornucopia di malvagità imposta, che obbliga i personaggi a fare la parte del cattivo.
“Mi disegnano così”, diceva Jessica Rabbit. Si gioca molto con le forme e i vizi dei personaggi. Tarantola è un hacker perfetta con le sue sette zampe sempre reattive, mentre la sinuosità mascalzona di Snake sarà il punto di rottura di una vicenda dai colpi di scena prevedibili ma ben diretti.
In Italia, le voci sono di personaggi noti e ben scelti, che coloriscono le vicende calando il proprio tono umoristico nella storia. Edoardo Ferrario è Mr Snake, mentre Saverio Raimondo è l’ambiguo Professor Marmellata. Valerio Lundini presta la voce al Piranha, che difatti ci conquista con un pezzo cantato (purtroppo senza i Vazzanikki a supporto) e alcune citazioni iconiche (“era un giocoo”) inserite in fase di adattamento.
C’è per fortuna qualcosa in più della pressione sociale che obbliga a prendere una strada incerta invece che la più retta e comune. C’è in Troppo Cattivi anche spazio per la scelta personale. “Cattivi, ma bravi a esserlo”. Un tassello importante per una morale che cerca la sfumatura di mezzo ma trova soprattutto l’ambiguità. A Wolf, Snake e compagnia piace essere cattivi. Perché è cool e anima giornate altrimenti noiose. Che fare però quando anche rubare non ti scuote più? Si diventa buoni, scoprendo – come le risate in Monster&Co. – che l’energia emessa da un buon gesto si propaga oltre i confini della malvagità. La sfida è lanciata dal Professore Rupert Marmellata V, porcellino d’india vincitore del premio della città assegnato al più buono tra tutti. Lui vuole cambiarli, addomesticarli e condurli sotto i riflettori con pelo pulito e sorrisi smaglianti.
Che cosa significa essere buoni
La bontà che il gruppo scopre si confonde con la fama. Osservano la città acclamarli mentre salvano un gattino, sconfiggono i malvagi e si rimettono al proprio posto, in posa per un selfie. La bontà gratuita, senza ritorni e attestati, è assente. A ciò, Troppo Cattivi non pone rimedio. Forse i suoi personaggi non possono davvero cogliere un cambiamento di morale altrimenti troppo repentino, dunque convertono di valore il segno delle proprie azioni per l’ennesima ragione opportunista. Conviene essere buoni. Ma resta un dubbio di messaggio generale, che estorce di senso un film monco. I Troppo Cattivi scoprono un valore obliquo, l’amicizia. Il gruppo, votato al lato oscuro o alla via Jedi, impara a salvarsi. La bontà diventa voler bene. Questo sì per via gratuita e spassionata.
Il gruppo, nella figura di Mister Wolf, è colpito dai giudizi sprezzanti della nuova sindaca, Diane Foxington. A conferma che bene e male sono una posa, una way of life che dà in un senso o nell’altro una parvenza di controllo sulla casualità della vita. Il personaggio ci incuriosisce per il controllo che sembra detenere sugli eventi, persino sull’infatuamento del lupo, che respinge ma non rigetta evitando di trasformarsi in semplice figura di Love Interest.
Troppo Cattivi non può convincerci sull’aspetto morale che porta avanti. L’eccessiva verbalizzazione delle categorie di bene e male conduce a un inevitabile naufragio del valore di queste. Il percorso è però abbastanza delizioso, segnato da un ritmo comico a favore di un pubblico trasversale – dalla battuta alla buccia di banana – e da una commistione di generi che ne fa un cinema di appropriazione nel tentativo di mischiare ciò che serve oggi per tenere desta l’attenzione.
Più incerta è l’animazione, a tratti sperimentale, spesso un po’ confusa. Capiamo però il tentativo DreamWorks – sulla scia ma lontano dallo Spider-Man di Sony – di rispondere al perfezionamento verista di Pixar e Disney con forme più ricercate, meno aderenti alla realtà ma forti di un gusto artistico espressionista.
Buddy e Heist movie in un contorno cartoonesco che aggrada il pubblico moderno con battute e modelli in cui ci si riconosce. Un’operazione fondata sullo schema del cattivo redento ma che aggiunge un brio alle faccende lasciandoci appassionare ai suoi protagonisti.