True Mothers: recensione del film di Naomi Kawase
Satoko e Kiyozaku decidono di adottare un bambino dopo aver cercato a lungo una gravidanza che non è mai arrivata. Sei anni dopo, però, la madre biologica del bimbo si presenta alla loro porta...
I cinefili, di fronte al cinema estatico e spirituale di Naomi Kawase, si dividono di solito in due fazioni: c’è chi rigetta il suo incedere contemplativo, caratteristica più che riconoscibile fin dagli esordi, e c’è chi invece “accetta il mistero” – per dirla coi fratelli Coen – e si lascia trasportare dal flusso di sensazioni riuscendo a penetrare la dura scorza fatta di staticità e lunghi primi piani. Una distinzione che vale appieno anche per True Mothers (distribuito in Italia grazie a Kitchen Film, a partire dal 13 gennaio), dolente riflessione sulla maternità e sull’adozione.
Tratto da un romanzo della scrittrice di gialli Mizuki Tsujimura, True Mothers compie uno scarto significativo rispetto al modello di riferimento: la sua struttura a flashback elimina infatti buona parte dell’enigma che sta al centro della storia, per concentrarsi quasi esclusivamente sull’emotività dei caratteri in gioco. In questo dramma quieto e struggente i protagonisti potrebbero essere quattro – due genitori adottivi, una madre naturale e il bambino conteso –, ma va da sé che tutta l’attenzione sia rivolta verso le due donne, che intraprendono scelte di vita opposte ma a modo loro complementari.
“Un bambino non può crescere un bambino”
Satoko e Kiyokazu formano una coppia benestante che non può avere figli. Un giorno, guardando un documentario su un’agenzia chiamata Baby Baton che abbina bambini indesiderati a coppie senza figli, i due si lasciano cullare dalla speranza di un’adozione e passano all’azione, accogliendo il piccolo Asato. È il figlio di una ragazza-madre rimasta incinta al primo rapporto sessuale, ad appena 14 anni. Il film a questo punto si suddivide in tre distinti atti, corrispondenti ad altrettanti punti di svolta nella vita dei protagonisti.
L’armonia iniziale nasconde diversi livelli di sofferenza, ben rappresentati da alcuni salti nel passato: il calvario inizia con la coppia, che vorrebbe concepire ma non può; passa attraverso la tragica esperienza della giovanissima Hikari, che termina la gravidanza in una casa-famiglia sapendo di non poter poi tenere con sé il neonato; e approda al momento in cui la ragazza, 5 anni dopo, reclama il piccolo. Senso di colpa, frustrazione, pentimento, con la visione di una maternità inopportuna che fa da contrappunto ai disperati sforzi di Satoko per avere figli.
True Mothers: la lettera di due madri a un figlio
Privo di gran ritmo (ma è uno dei tratti distintivi del cinema di Kawase) e molto raccolto sui particolari e sulle percezioni visive e tattili (su tutte, la sequenza del rapporto sessuale tra i due preadolescenti, illuminata da bagliori quasi mistici), True Mothers chiede tempo e grande pazienza, premiando sulla lunga distanza. Ovvero quando i fili della vicenda si riannodano, portando a un epilogo tutto sommato inaspettato. Perché come tutti i mari sono collegati (è questa la convinzione del piccolo Asato), così siamo tutti figli di Madre Natura, che idealmente ci accoglie nel suo ventre.
L’arma vincente dell’opera, che invero fatica a fondere il suo mix eterogeneo di dramma coniugale, storia d’amore adolescenziale e commento sociale, resta la capacità di tratteggiare momenti domestici profondamente intimi, in cui ci si rende conto che anche le più semplici attività quotidiane possono essere piaceri da non dare per scontati. Il fatto che il titolo originale Asa ga Kuru voglia dire “Arriva il mattino” e che il nome della giovane genitrice, Hikari, significhi “Luce” sembrano infine dei piccoli indizi nascosti, delle indicazioni di speranza da parte della regista sul futuro dei suoi personaggi.