Tutta la vita davanti: recensione del film di Paolo Virzì
Un call center simile ad una casetta del peggior reality, in una bolla splendente, piena di jingle musicali motivazioni, premi per i migliori lavoratori e amare eliminazioni per le noti dolenti del mese. Questo è Tutta la vita davanti, il film diretto da Paolo Virzì e un cast che vede Isabella Ragonese nei panni di Marta, una ragazza neolaureata in Filosofia con 100 e lode e in cerca di lavoro, Sabrina Ferilli nei panni di Daniela, capa telefonista con un vuoto esistenziale colmato da un mondo fittizio e l’ingenua speranza di costruire una vita sentimentale con Claudio, il capo dell’azienda interpretato da Massimo Ghini. Segue Micaela Ramazzotti nel perfetto ruolo di Sonia, una ragazza madre che non riesce a prendere in mano la sua vita e a crescere in modo adeguato sua figlia Lara (Giulia Salerno); infine Valerio Mastandrea nei panni del sindacalista Giorgio, colui che cerca di far emergere le problematiche del precariato giovanile seppur con scarsi risultati.
Marta, come tanti giovani, è una studentessa fuori sede che vive in un locale in affitto. Si laurea in Filosofia e, mentre partecipa ad un concorso per ottenere il posto da ricercatrice, cerca un lavoro part-time. Proprio il giorno della sua laurea, il ragazzo si trasferisce per lavoro negli Stati Uniti, mentre l’unico impiego ottenuto da Marta è un lavoro come baby-sitter. Grazie alla madre della bambina, la giovane riesce ad ottenere il lavoro in un call center. Da qui inizia Tutta la vita davanti, grottesco e amaro spaccato del precariato giovanile, che ha la grande qualità di non cadere mai nel patetismo e di far riflettere attraverso personaggi ben scritti e situazioni al limite del grottesco.
Virzì tratteggia insieme al personaggio di Marta un’Italia che, seppur con tutte le difficoltà del momento, non si abbatte: Marta, infatti, scrive un saggio filosofico in cui accosta il lavoro del mondo delle telecomunicazioni a quello di un reality per presentarlo ad alcune università e ottenere un posto come ricercatrice. La giovane sa muoversi in un mondo alieno, sa sfruttare le occasioni che si presentano e, grazie alla sua intuizione e intelligenza, scopre anche di essere brava per quel genere di lavoro che mai avrebbe pensato di fare. Inoltre la ragazza sa leggere la realtà che la circonda, ha i mezzi per non farsi schiacciare da un mondo di burattini, che sfrutta e lascia in un angolo, come in una puntata di un reality show. Questa è la differenza che si delinea sia tra lei e Sonia che tra lei e la capa Daniela, una donna sola, inebetita dal lavoro e totalmente incapace di distinguere la realtà dalla finzione; una donna che non possiede gli strumenti per capire che l’uomo che lei ama non la ricambia e che si rifugia in un mondo che alterna il lavoro alle puntate del Grande Fratello. Nel delineare questo personaggio sfaccettato, il merito va ad una Sabrina Ferilli che, diretta a Paolo Virzì, è sempre una certezza, dopo i successi di La bella vita e Ferie d’agosto.
Tutta la vita davanti: l’amara fiaba di Marta si colora di un realismo che tocca le note più profonde dello spettatore
Tutta la vita davanti è un film perfetto che delinea ancora una volta la bravura di Virzì nel mettere in scena commedie amare. Anche in questo film, oltre all’attualità del tema, il regista inserisce il dramma (la madre malata e la morte della nipote di un’anziana signora contattata da Marta nelle ore di lavoro) ed è così che l’amara fiaba di Marta si colora di un realismo che tocca le note più profonde dello spettatore. Chiude il cerchio la voce narrante di Laura Morante, un ponte tra il libro Il mondo deve sapere di Michela Murgia e la rappresentazione cinematografica di Virzì.