Tutte le volte che ho scritto ti amo: recensione del film Netflix
Tutte le volte che ho scritto ti amo si rivela una visione tanto innocua quanto dimenticabile nel sempre verde filone delle commedie romantiche adolescenziali.
Tutte le volte che ho scritto ti amo è un film del 2018 diretto da Susan Johnson e basato sul romanzo To All the Boys I’ve Loved Before di Jenny Han. I protagonisti del film sono Lana Condor, Noah Centineo, Anna Cathcart, Janel Parrish, Andrew Bachelor e Israel Broussard. Tutte le volte che ho scritto ti amo è disponibile su Netflix dal 17 agosto per tutti gli abbonati al servizio.
La vita della 16enne Lara Jean (Lana Condor) viene scombussolata nel momento in cui la sorella maggiore Margot (Janel Parrish) si trasferisce in Scozia lasciando il fidanzato Josh (Israel Broussard), di cui lei è segretamente innamorata, e soprattutto quando la sorella minore Kitty (Anna Cathcart) invia di nascosto 5 lettere scritte e mai inviate da Lara Jean ad altrettante sue cotte adolescenziali. Le missive suscitano nei destinatari disparate e contrastanti reazioni. Il primo a mettersi in contatto con Lara Jean è il bello della scuola Peter (Noah Centineo), che propone alla protagonista di fingere un loro coinvolgimento amoroso per fare ingelosire la sua ex fidanzata. Seppur con riluttanza, Lara Jean accetta di simulare una relazione, ma il cuore ha dinamiche del tutto imprevedibili, che sfuggono alla pianificazione e alla razionalità.
Tutte le volte che ho scritto ti amo: la nuova commedia romantica adolescenziale targata Netflix
Con Tutte le volte che ho scritto ti amo, Netflix torna a concentrarsi sul pubblico che, da Tredici al più recente Insatiable, ha contribuito e contribuisce maggiormente al suo successo, ovvero quello degli adolescenti. Rispetto alle serie sopra citate, che cercano con più o meno successo di portare alla luce drammi e problemi tipici di questa delicata età, il film di Susan Johnson opta per un approccio decisamente più frivolo e leggero, abbracciando i canoni e i cliché della commedia romantica adolescenziale e affidandosi prevalentemente all’espressività dell’americana di origini vietnamite Lana Condor, abile a dare tridimensionalità e spessore a un personaggio con notevoli carenze in termini di scrittura.
Viste le premesse, difficile aspettarsi da Tutte le volte che ho scritto ti amo qualcosa di più di un racconto dal buon ritmo incanalato verso binari narrativi più che prevedibili fin dalle prime scene. In questo senso, il film di Susan Johnson adempie in larga parte il proprio compito, grazie soprattutto ai simpatici siparietti iniziali fra la protagonista e la sorella minore, fermamente intenzionata a trovarle un ragazzo, e fra la stessa Lara Jean e il finto fidanzato Peter, due mondi diversi e complementari che collidono come il cinema di John Hughes e quello di David Fincher, esplicitamente citati come loro punti di riferimento culturali. Nel momento in cui Tutte le volte che ho scritto ti amo deve staccarsi dai propri pesanti miti e camminare autonomamente all’interno di un filone ormai sconfinato, i nodi vengono però inevitabilmente al pettine, manifestando tutti i limiti di una pellicola tanto innocua quanto dimenticabile.
Tutte le volte che ho scritto ti amo difetta nella rappresentazione della realtà giovanile
Anche accettando un’impalcatura talmente politically correct da risultare quasi fastidiosa, che sembra pesare con la bilancia etnie e tendenze sessuali in modo da non mancare di rispetto a nessuno, Tutte le volte che ho scritto ti amo sconta soprattutto una sceneggiatura superficiale e affrettata, che inserisce e toglie dal racconto una vastità di personaggi solamente abbozzati, che non servono ad altro che a togliere spazio a una storia romantica già zoppicante di suo, ma almeno forte di una propria funzione narrativa. Pur non manifestando evidenti cadute di stile in termini di regia e trovando un suggestivo appoggio dalle splendide location canadesi, il film di Susan Johnson palesa inoltre un altro suo imperdonabile limite, ovvero il totale irrealismo dell’ambiente in cui si muovono i protagonisti.
Quello di Tutte le volte che ho scritto ti amo sarebbe il mondo perfetto per un adolescente irrisolto: assenza di bullismo, rispetto delle minoranze e scaramucce limitate alla critica del modo di vestire altrui. Fatta eccezione per un frettoloso e mal calibrato riferimento a una vera e propria piaga sociale dei nostri tempi, ovvero la facilità di rovinare una vita tramite la condivisione online di video intimi e privati, manca del tutto la descrizione dell’ambiente malsano con cui purtroppo ci dobbiamo confrontare ogni giorno e dei tanti pericoli che un adolescente deve affrontare al giorno d’oggi. Un aspetto forse marginale per un film che ha la sola pretesa di intrattenere, ma che alla lunga finisce per condizionarne in negativo la riuscita.
Tutte le volte che ho scritto ti amo: un film destinato esclusivamente a un pubblico di adolescenti
Anche senza scomodare capisaldi dei film sull’adolescenza come Stand by Me o Breakfast Club, è evidente che Tutte le volte che ho scritto ti amo non riesce a creare quel piccolo miracolo che ha reso tanti prodotti di questo filone dei punti di riferimento della crescita di ognuno di noi, ovvero trasformare anche il più frivolo e passeggero sentimento nella passione più travolgente, rendere un’amicizia il paradigma di tutte le amicizie o dipingere anche la più piccola minaccia, per esempio il bullo della scuola, come un temibile e inquietante nemico da sconfiggere. Tutte le volte che ho scritto ti amo diventa così un cinema smaller than life, che scivola addosso allo spettatore senza lasciare nulla di significativo, originale o duraturo e che sconta inoltre una parte centrale eccessivamente allungata e di conseguenza penalizzante per il ritmo del racconto.
Tirando le conclusioni, Tutte le volte che ho scritto ti amo è una visione destinata solamente al proprio pubblico di riferimento, ovvero quello degli adolescenti, più propensi ad accettare una storia d’amore fintamente non convenzionale e atmosfere troppo ovattate per essere credibili. Gli spettatori più cresciuti si troveranno invece di fronte un film scontato e prevedibile in ogni suo aspetto, troppo patinato per graffiare e troppo superficiale per lasciare una traccia del proprio passaggio.