Twist (2021): recensione del film Sky Original col figlio di Jude Law
Il nuovo film Sky Original cerca in tutti i modi di catturare uno spettatore annoiato con piroette mal sostenute da una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti.
Oliver Twist abita il grande (e piccolo) schermo da molto tempo. Ricordiamo l’adattamento di David Lean, Carol Reed e, ovviamente, Roman Polanski. Rivisitazioni più o meno vicine al testo di Charles Dickens. Di certo diverse dalla nuova versione prodotta da Sky Original e disponibile su Sky Cinema e NOW TV dal 10 maggio 2021.
Twist vorrebbe infatti ritrovare il giovane protagonista dickensiano tra le strade della Londra contemporanea, abitata da telefoni, traffico e grattacieli senza fine. Un’idea del tutto legittima e rispettabile. Ma il risultato non rinnova il testo d’origine e arriva allo spettatore come una pastiche di generi confusa da tentativi malamente incompiuti. Twist vorrebbe divertire ma ne esce goffamente buffo e per nulla accattivante. Il grande problema del film – non avere un’idea chiara del prodotto proposto – si sbriciola purtroppo lungo tutti i suoi aspetti e non basta scrollarsi di dosso la maldestra sceneggiatura per uscirne quanto meno soddisfatti.
Un film senza Plot Twist
“What a Twist” cantilenava una parodia del regista M. Night Shyamalan, noto al grande pubblico per i suoi colpi di scena. Quel Twist che in questo film è protagonista, con il volto di Rafferty Law (figlio di Jude), e che simbolicamente si proponeva a manifesto di una storia piena di cambi di registro. D’altronde è un Heist movie – un film con al centro una grossa rapina d’arte -, da sempre simbolo di azioni imprevedibili. Eppure, Twist è un compitino copiato male dai capisaldi del genere. Un’opera d’arte contraffatta, per rimanere in tema, ma più simile al quadro de L’ultima catastrofe di Mr. Bean – l’esilarante nasone fatto a matita sul finale – che al caveau del protagonista de La miglior offerta.
La storia rivede Dickens. Protagonista è Oliver, street artist che abita la strada da quando è venuta a mancare la madre, fervente appassionata d’arte. Solitario e autonomo, troverà una famiglia nel gruppo di giovani malviventi, novelli Robin Hood, guidati dall’ex collezionista Fagin (Michael Caine). Nel gruppo anche Dodge (Rita Ora), Brownlow (Noel Clarke) e Red (Sophie Simnet), il love interest che renderà Oliver eroe di alti principi. Furti a parte, s’intende.
Fin qui, a suo modo, Twist è Dickens. Ma con un aspetto del tutto inatteso: il parkour, o il free running, come lo chiamano nella pellicola (la differenza è reale e si identifica nell’enfasi della spettacolarità del secondo). Oliver è infatti un arrampicatore provetto, capace di muoversi al di sopra delle strade londinesi per apporre la propria firma ai muri della città. “Più alto è il murales più persone lo vedranno”. Dickens incontra Assassin’s Creed. Nulla di sbagliato, anzi. L’idea offre all’heist movie occasioni per muovere la cinepresa e giustificare l’azione. Ma la regia di Martin Owen non va lontano e più che atterrare ad effetto si schianta al suolo.
A non convincere in Twist è anche una Londra senza carattere, aggiunta in computer grafica e priva di profondità. La fotografia, soprattutto in interno, illumina ogni scena indistintamente, smussando le strade o le stanze in un approccio più pubblicitario che propriamente cinematografico. Il tentativo però è di smuovere ogni scena, spesso intervallata da transizioni disperatamente catchy. Lo spray della bomboletta disegna la città, poi un autobus che attraversa conduce da un casolare all’altro, senza una coerenza visiva che risponda alle necessità di sceneggiatura.
Tanti salti per nulla
Problematico in Twist è però proprio l’aspetto del Parkour. Soggettive, primi piani mossi e macchina a mano a precedere si alternano in un insieme che non getta nel vivo dell’azione. Numerosi sono su YouTube i video di free running che dimostrano le possibilità immersive di questa pratica al limite della legalità. Owen però fatica a riportarne la chiave action in Twist, che rimane orfano proprio dell’elemento distintivo di quest’adattamento dickensiano.
Ma lasciamo da parte Dickens. L’adattamento non funziona ma è secondario. Allo spettatore, seduto in salotto nella speranza di un intrattenimento semplice ma efficace, può non interessare. Cosa resta dunque di Twist? Qualche idea, pochi risultati e un’unica buona interpretazione. E no, non stiamo parlando di Michael Caine, purtroppo confuso da un film che lo vede fuori tono. È invece Sophie Simnett, Red, a uscirne bene, più per la presenza in scena che per il personaggio, abbozzato e pieno di cliché.
Il grande piano per derubare una galleria d’arte, guidata da un collezionista truffaldino e malavitoso, non viene supportato da una sceneggiatura che coinvolga lo spettatore. Chi assiste allo spettacolo di stunt su sfondo londinese non sembra invitato agli eventi. Il super villain interpretato da Lena Headey (La Cercei di Game of Thrones) agisce senza spiegazioni. Comprendiamo un rapporto di “proprietà” che la lega a Red, personaggio al limite tra l’eroina e la damigella da salvare, ma senza una reale motivazione che dia spessore ai fatti raccontati.
Twist voleva essere di più, e poteva riuscirci
In apertura, la voce fuori campo di Oliver, promette una storia dove “non si canta, non si balla”. Eppure, dalla continua ricerca di piroette e personaggi in costumi e caratteri fumettistici, verrebbe da credere che Twist sperasse proprio di essere un Musical action per il grande pubblico. Purtroppo però, ha ragione Oliver: in Twist non si canta e non si balla.