Uglies: recensione del film Netflix con Joey King
La recensione della trasposizione che McG ha realizzato del primo romanzo della saga sci-fi young adult di Scott Westerfeld, disponibile su Netflix dal 13 settembre 2024.
Di trasposizioni cinematografiche e seriali di saghe letterarie fantasy e sci-fi young adult negli ultimi decenni ne abbiamo viste tante. Alcune di queste hanno riscosso quel successo planetario che ci si aspettava, altre invece non sono andate come sperato tanto da cadere ben presto nel dimenticatoio. Per scoprire a quale destino andrà incontro quella di Uglies bisognerà attendere la pubblicazione dei dati relativi al numero di visualizzazioni ottenute su Netflix, laddove l’adattamento del primo dei romanzi di Scott Westerfeld firmato da Joseph McGinty Nichol, in arte McG, è approdato lo scorso 13 settembre 2024.
Uglies è un film di fantascienza distopico la cui marcata canonicità e allineamento al già visto gli impedisce di aggiungere qualcosa di nuovo e personale alle saghe sci-fi young adult
Ma al di là del livello di gradimento registrato e dello scoprire quante volte il suddetto contenuto è stato fruito sulla piattaforma a stelle e strisce, c’è da dire che ci si è trovati al cospetto di un film di fantascienza distopico la cui marcata canonicità e allineamento al già visto gli impedisce di aggiungere qualcosa di nuovo e personale alla causa. Basta leggere la sinossi e vedere come questa è stata sviluppata per accorgersi di quanta poca originalità vi sia nella vicenda narrata rispetto a ciò che del suddetto filone c’è in circolazione, tanto da generare nello spettatore di turno una serie di déjà-vu. Siamo infatti in un futuro ormai arido di materie prime e consumato dai conflitti (sai che novità) in cui è bandita la bruttezza. Anzi, è bandita la normalità. Le persone comuni sono definite uglies (tradotto: brutti). La bruttezza e le imperfezioni, secondo i nuovi crismi, creano odio e violenza, e allora la popolazione, al compimento dei sedici anni, è obbligata a sottoporsi ad un’operazione di chirurgia estetica (non senza rischi), trasformando tutti da uglies a pretties.
La trasposizione cinematografica banalizza i contenuti e gli spunti di spessore e fortemente contemporanei della matrice letteraria
Ecco che in Uglies si rivedono assemblate elementi e situazioni che attraverso un copia e incolla sembrano dare forma a un puzzle narrativo e drammaturgico i cui tasselli per analogie e somiglianze riportano alla mente Hunger Games e Ender’s Game, piuttosto che Maze Runner, Divergent e Valerian e la città dei mille pianeti. Nonostante la data di pubblicazione del romanzo di Westerfeld risalga al 2005, quindi antecedente ad alcune delle saghe di cui sopra, nel lavoro di McG c’è un attaccamento fin troppo morboso alla matrice che visti i tempi e i precedenti avrebbe invece avuto bisogno di una revisione e di un distacco anche parziale che consentisse alla trasposizione di Uglies di acquistare un senso nel mercato attuale. In questo modo avrebbe potuto smarcarsi dal già prodotto e trovare una propria indipendenza. In tal senso, spunti e temi interessanti come quelli trattati, potenzialmente forti dal punto di vista drammaturgico, come la ricerca artificiale della bellezza, la società votata all’apparenza, la spasmodica ricerca dell’approvazione, la continua riflessione di una perfezione pericolosa e utopica da perseguire e inseguire, avrebbero potuto garantire, se non banalizzati e affrontati superficialmente, uno spessore e una stratificazione significative alla narrazione e al disegno dei personaggi. Cosa che come avrete avuto modo di intuire non è avvenuta.
Una fantascienza più pratica e meno cervellotica, che abbassa il livello per portarlo a uno stadio più commerciale e generalista al servizio di uno sfoggio di CGI ed effetti speciali fine a se stesso
Il regista e sceneggiatore statunitense finisce per dilapidare quanto messo a disposizione dal testo originale, appiattendone i contenuti e sminuendo la portata delle argomentazioni sollevate. Il tutto si plasma sulla base di esigenze diverse e più votate al mero intrattenimento. Largo spazio di riflesso a una fantascienza più pratica e meno cervellotica, che abbassa il livello per portarlo a uno stadio più commerciale e generalista in cui il racconto si tramuta in un accessorio al servizio di uno sfoggio di CGI ed effetti speciali fine a se stesso, a conti fatti nemmeno particolarmente impattante ed efficace visivamente. Ciò fa di Uglies un contenitore sterile di emozioni nel quale va riversandosi l’ennesimo capitolo di un romanzo di formazione, quello di un’adolescente (interpretata in maniera nemmeno troppo esaltante da Joey King) che attende con impazienza il raggiungimento del sedicesimo compleanno per tagliare il traguardo della tanto agognata “perfezione” per poi rendersi conto che in un mondo che si credeva estinto, un mondo imperfetto e reale, c’è tutto ciò che cercava.
Uglies: valutazione e conclusione
La trasposizione del primo romanzo dell’omonima saga sci-fi young adult di Scott Westerfeld firmata da McG non frutta al meglio i contenuti e gli spunti contemporanei e potenzialmente interessanti a disposizione a favore di un prodotto di intrattenimento dalla narrazione e dalla confezione canoniche. Lo sfoggio di CGI e VFX per dare forma al mondo artificiale e “perfetto” serve solo a gettare fumo negli occhi di uno spettatore che si trova nuovamente a fare i conti con dinamiche e sviluppi che hanno il sapore inconfondibile della minestra riscaldata. Già al primo assaggio si avverte un rimpasto di cose già viste e ascoltate in altre operazioni analoghe (su tutte Hunger Games), messe insieme per creare un’opera in grado di cavalcare l’onda e andare a soddisfare le aspettative degli abituali frequentatori del filone in questione. Resta l’amaro in bocca.