Ultimo mondo cannibale (Jungle Holocaust): recensione
Il grande successo ottenuto da Il Paese del sesso selvaggio (conosciuto all’estero come Mondo Cannibale) spinse la produzione a proporre a Lenzi di girarne un seguito. Il regista e la produzione non si accordarono però sui compensi (Lenzi pretendeva un cachet superiore a quello del primo film, visto il successo ottenuto), per cui i produttori cambiarono regista, affidando il progetto a Ruggero Deodato che chiamò il film Ultimo mondo cannibale.
Un gruppo di quattro persone, tra cui Robert Harper e il suo amico Rolf, è costretto ad un atterraggio di fortuna nella giungla per un guasto. Riparato l’aereo, essendosi fatto troppo buio per ripartire, i quattro decidono di passare la notte lì. Due di loro vengono eliminati subito e i superstiti Robert e Rolf, incapaci di far volare l’aereo, si perdono nella giungla…
Ultimo mondo cannibale rappresenta la naturale evoluzione attribuita al secondo capitolo di un genere che ha fatto e fa parlare di sè, ciò che funzionava nel predecessore qui viene ampliato e approfondito: il concetto del film di avventura molto più votato all’intrattenimento si trasforma in un vero e proprio survival movie, dove i due protagonisti intrappolati all’interno di un tappeto verde, cercano di orientarsi, sopravvivere e rimanere vigili senza perdere il lume della ragione.
La sceneggiatura di Gianfranco Clerici e Renzo Genta poteva avere spunti molto più ricchi, contando che per la maggior parte del tempo il protagonista è rinchiuso all’interno delle carceri costruite dalla tribù di indigeni; accantonata totalmente la storia d’amore (quindi i toni più leggeri) presente nel capostipite, le battute si possono contare sulle dita di una mano proprio perché, per la situazione descritta sopra, il protagonista è impossibilitato ad esprimersi verso i cannibali.
Le scene gore (con gli effetti speciali di Paolo Ricci) e gli atti di cannibalismo sono presenti all’interno della pellicola già dai primi minuti, introducendo così lo spettatore all’interno di un universo cupo, misterioso e primitivo: la scena finale con lo squartamento, l’apertura della cassa toracica e la preparazione del corpo che poi verrà divorato dagli indigeni è una sequenza che ancora oggi a distanza di anni può urtare la sensibilità degli spettatori, mentre gli atti di violenza sugli animali, tanto cari a Deodato, sono presenti in minima parte, ma assolutamente dettagliati con riprese che non lasciano immaginare nulla.
La fotografia di Marcello Masciocchi è granulosa e sporca, abbandonando l’idea del documentario dai toni leggeri che, abbinata alla regia di Deodato che utilizza la macchina da presa come se fosse una presenza vicina ai protagonisti, trasforma Ultimo mondo cannibale in un mix tra B-Movie grezzo e il Grindhouse con qualche sfumatura di mockumentary / find footage.
Menzione speciale va fatta per il sonoro di Nick Alexander, che inserisce in determinati momenti salienti effetti sonori che fanno rivoltare lo stomaco allo spettatore, unito alle musiche d’atmosfera composte da Ubaldo Continiello.
Ultimo mondo cannibale è un film molto lento, totalmente diverso da Il paese del sesso selvaggio che, dalla sua, aveva una trama più soft e votata all’avventura. Il film di Ruggero Deodato verte a far angosciare lo spettatore e a mostrare senza remore qualsiasi atto di violenza, il che lo rende un prodotto di difficile digeribilità (è proprio il caso di dirlo) e sicuramente non adatto a tutti.