Roma FF18 – Un amor: recensione del film di Isabel Coixet
Il nuovo film della celebre autrice catalana di Troppo vecchio per morire giovane e Lezioni d’amore, torna a riflettere sulle complessità del corpo femminile e sulle conseguenze della solitudine, perdendo d’interesse nell’inseguimento di un dolore ripetitivo ed estremizzato al punto tale da risultare surreale. Progressive Cinema
Presentato nel corso della 18a edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Progressive Cinema, Un amor, l’ultimo lungometraggio da regista di Isabel Coixet, cui dobbiamo notevoli film tra i quali Le cose che non ti ho mai detto e La vita segreta delle parole, è l’adattamento dell’omonimo romanzo di Sara Mesa.
Considerata la filmografia dell’autrice catalana, e i primissimi rumors circolati sul web diversi mesi fa a proposito di Un Amor, appariva lecito attendersi un film quantomeno riuscito, se non proprio memorabile, eppure, non è così.
Ad appena un paio d’anni di distanza dal notevole As Bestas di Rodrigo Sorogoyen, un altro film sul lato oscuro della Spagna, tanto in termini di narrazione violenta di quel territorio, quanto di descrizione spregiudicata, crudele e spietata di chi osserva il forestiero, o meglio, l’estraneo tentando in ogni modo di distruggerlo, specie in riferimento ad usi e costumi di luoghi non certamente sviluppati e mentalmente aperti alla novità.
Laddove i coniugi Xan e Olga, subivano le angherie dei vicini di casa, in un crescendo di violenze e aberrazioni, destinate ad un epilogo prevedibile eppure ferocemente angosciante, qui Nat (Laia Costa in una prova interpretativa davvero sofferta e solidissima), diviene pedina e osservatrice di un sadico gioco al massacro, dapprima psicologico e poi in seguito fisico, che passando per logiche inevitabilmente misogine, osserva il corpo femminile come semplice merce di scambio e al tempo stesso come trappola, dunque accessibile, e per questo, da logorare e cancellare.
Melò e western sul racconto di case e menti che crollano
Coixet costruisce un film dai chiarissimi intenti melodrammatici, pur facendo diverse incursioni nel cinema western più crepuscolare e disperato, popolato da individui soli di ogni genere, età e sesso, in fuga da un passato fatto di traumi, violenze e non detti, destinati a ripresentarsi perfino laddove tutto è nuovo, sconosciuto e disperso, producendo un’interessante e anomala contaminazione tra generi, destinata ad aprire molto più interrogativi, anziché proporre adeguate risposte.
Ecco perché Un Amor non riesce affatto ad essere il film che avrebbe voluto – e potuto – essere, a causa di un’incessante variazione tra i toni drammatici, melodrammatici, romantici, western e poi thriller che se inizialmente attraggono, alla lunga finiscono per confondere lo spettatore, rispetto alla natura e reale volontà narrativa tanto del film in sé, quanto della sua confusa e conflittuale protagonista Nat.
Tutto ciò che sappiamo di lei infatti è che a causa di un burnout, mostrato attraversi rapidi flashback legati al suo lavoro da interprete, ogni cosa è andata in mille pezzi, crollando inesorabilmente e conducendola lì, in un angolo dimenticato da tutto e tutti, nella Spagna più rurale, disperata e solitaria, accettando di vivere in una casa in rovina che non fa altro che sgretolarsi, riflettendo la medesima condizione psicologica di chi la abita.
Eppure, oltre la casa in disfacimento e il logoramento emotivo di Nat, sembra esserci molto di più. Un rimosso palpabile e concreto verso il quale Coixet non dirige quasi mai lo sguardo, se non nel momento dell’allontanamento decisivo tra Nat e Andreas (Hovik Keuchkerian), colui che tutti chiamano “Il tedesco” e che sottolinea per la primissima volta quanto l’angoscia e il terrore silenzioso e sotterraneo di Un Amor possano essere davvero in grado di condurre a qualcosa di terribilmente crudele e definitivo.
Eppure, di tali suggestioni, non resta che l’attesa.
Un amor: valutazione e conclusione
Al netto della solida e notevole interpretazione di Laia Costa nel ruolo di una donna confusa a tal punto sui propri desideri e volontà, da offrirsi a uomini in grado di distruggerla sempre più, Un amor di Isabel Coixet, rincorrendo ambiguamente più linguaggi narrativi nella speranza di riprodurre una tensione dai chiarissimi riferimenti Bertolucciani, si perde, in un melò che non risulta mai davvero tale, e così in un’idea di aura misterica contaminata da logiche puramente thriller e western destinate alla semplice costruzione di suggestioni e non narrazioni.