Un amore e mille matrimoni: recensione del film Netflix
La recensione di Amore e mille matrimoni, la commedia romantica inglese con Sam Claflin ambientata in una lussuosa villa romana
Commedia romantica del 2019 diretta da Dean Craig (sceneggiatore, tra gli altri di Funeral Party), Un amore e mille matrimoni sta vivendo un’ondata di successo tra gli abbonati a Netflix USA. Il motivo di tanto successo sta probabilmente nel suo essere una commedia ben confezionata, con un cast che regge benissimo il gioco e ambientata in una location che fa sognare da sempre gli amanti dell’arte e della bellezza: Roma.
Pur con la partecipazione della Lazio Film Commission, Un amore e mille matrimoni è un film di produzione britannica. Questo è piuttosto evidente dal tono della scrittura, che va a recuperare alcuni paradigmi della gloriosa commedia romantica degli anni Novanta, quella che – per intenderci – ha consacrato Hugh Grant come Re del genere. Un amore e mille matrimoni è un film piuttosto lontano dall’essere perfetto, né riesce a riprodurre la stessa grazia, lo stesso equilibrio e lo stesso ritmo narrativo del filone che vuole omaggiare. A volte calca troppo la mano sull’umorismo degli equivoci, altre volte scivola un po’ nel greve – senza tuttavia esagerare. In fondo, si tratta pur sempre di inglesi.
Un amore e mille matrimoni: una commedia corale
Dopo un prologo ambientato in una romantica piazza romana, dove i protagonisti Jack (Sam Claflin) e Dina (Olivia Munn) stanno per scambiarsi il primo bacio dopo un weekend trascorso insieme (e sono bruscamente interrotti da un loquace quanto inopportuno conoscente di Jack), la storia si sposta in una location unica, dove avverrà la maggior parte dell’azione. Ci troviamo in una lussuosa villa nelle campagne romane, un luogo idealizzato che sintetizza alla perfezione il modo in cui il nostro Paese è percepito all’estero. Qui, Hayley (Eleanor Tomlinson) una ragazza inglese trapiantata in Italia – e sorella di Jack – sta per sposare Roberto (Tiziano Caputo), altro esempio di italianità standard dalle fattezze e dal look che ricordano vagamente Rodolfo Valentino (tanto per constatare la persistenza dell’immaginario comune).
La cerimonia sta per iniziare e il fermento degli amici inglesi della sposa è incontenibile. Attorno a Hayley e Jack si muovono alcuni personaggi che incarnano gli stereotipi della commedia romantica inglese, aggiornandoli e adattandoli al linguaggio di questo nuovo prodotto. C’è Rebecca (Aisling Bea) che nasconde le sue insicurezze con una convivialità ostentata e imbarazzante. Insieme a lei, Bryan (Joel Fry) che gioca nel ruolo di spalla del protagonista, focalizzato sul proprio sogno di fare l’attore ma senza molta credibilità o successo. Poi, con un kilt dichiaratamente fuori luogo, c’è Sidney (Tim Key), logorroico, fragile e inopportuno – a proposito di kilt, questo dettaglio sembra citare direttamente il personaggio di Gareth di Quattro Matrimoni e un Funerale, una delle vette più alte del genere. A questa compagnia si aggiungono anche Amanda (Freida Pinto), ex ragazza rancorosa di Jack, il suo compagno Chaz (Allan Mustafa) eccessivamente concentrato sulla sua rivalità con il protagonista e le dimensioni dei propri genitali e Marc (Jack Farthing), vecchia fiamma della sposa pronto a mandare all’aria le nozze.
E, infine, c’è Dina. Dina è il classico personaggio femminile contemporaneo, che molti sceneggiatori hanno imparato ad usare oramai come standard. Indipendente, con un mestiere “forte” (è una giornalista di guerra), bellissima, ironica: un aggiornamento dell’oggetto del desiderio rivisto nel 2020, ma che rimane – pur così caratterizzata – la controparte femminile dell’eroe romantico maschile.
Il ruolo del caso nelle relazioni di coppia
La tesi alla base di Un amore e mille matrimoni è che l’innamoramento è – come tutti i fenomeni – soggetto alla casualità. Perdersi e ritrovarsi, specialmente quando si vivono i rapporti in maniera passiva, sono occasioni che il destino può riservarci oppure no. In questo senso si può leggere il finale, in cui (attenzione! Spoiler!) Jack forza la mano del caso e va a dare a Dina il primo bacio atteso troppo a lungo. In una commedia romantica – il genere che quanto più si avvicina alla narrazione moraleggiante delle favole – gli eroi sono in grado di condizionare il caso e di vincere sull’imprevedibilità e sulla sfortuna in nome di un’energia più potente: l’amore. Un messaggio distensivo, rassicurante, forse banale – ma di quella banalità che non guasta in un film che, in fondo, non ha altre aspirazioni se non quella di far trascorrere al pubblico 100 minuti di relax.
In conclusione…
Questo viaggiare su onde medie, in effetti, si percepisce in molti altri aspetti del film. Il meccanismo dell’equivoco, dell’errore che porta i piani a prendere pieghe inaspettate e (comicamente) disastrose è un esercizio di stile che molti sceneggiatori di commedia hanno risolto in maniere più brillanti. Un amore e mille matrimoni ha altri meriti, rispetto all’originalità. Uno di questi è quello di lanciare Sam Claflin come attore brillante, dopo una bella carriera in cui ha interpretato per lo più personaggi romantici tragici. La sua espressività convince più di ogni altra cosa ed eredita quel ruolo che fu di Hugh Grant di belloccio autoironico che promuove un’immagine poco machista dell’innamorato impacciato e goffo. Joel Fry, già visto e apprezzato in Yesterday di Danny Boyle si conferma una buona spalla comica, affrancando la sua fisicità imponente con una grande dose di simpatia.