Un fantasma in casa: recensione del film Netflix con David Harbour
La recensione dell’horror-comedy di Christopher Landon con Anthony Mackie e David Harbour, tratta dal racconto omonimo di Geoff Manaugh. Dal 24 febbraio 2023 su Netflix.
Agli spiriti e ai fantasmi che infestano questo o quel luogo si tende nella stragrande maggioranza dei casi a dare un accezione negativa, a dipingerli come entità maligne che hanno come unico scopo terreno quello di terrorizzare o rendere la vita, piuttosto che un semplice soggiorno, degli sventurati di turno un vero e proprio incubo. L’horror, nello specifico il filone delle ghost house, non a caso ha come punto di partenza ed elemento ricorrente proprio uno o più ectoplasmi rimasti bloccati per un motivo o per un altro in una data topografia. Le cause possono essere innumerevoli, ma la maggior parte delle volte quelle quattro mura hanno fatto da cornice ad atroci delitti o a brutali omicidi, che hanno portato la vittima a restarvi intrappolata quasi come in un limbo in attesa del consumarsi di una vendetta o della venuta a galla della verità riguardo la sua morte. Quest’ultimo è il caso del protagonista di Un fantasma in casa, l’adattamento cinematografico che Christopher Landon ha tratto dal racconto breve Ernest di Geoff Manaugh, disponibile dal 24 febbraio 2023 su Netflix.
Un fantasma in casa si distacca dalla visione inflazionata dello spettro cattivo e sanguinario, per mostrarcene una decisamente più benevola
La storia ruota intorno alla famiglia Presley che, appena trasferitasi in una nuova abitazione, scopre di avere in soffitta un fantasma di nome Ernest. Riuscendo a filmarlo, i Presley diventano virali sui social media. Tuttavia, quando il figlio minore Kevin e il fantasma uniscono le loro forze per investigare sul passato dello spettro, diventeranno addirittura oggetto di un’indagine della CIA. Per chi ha avuto modo di entrare precedentemente in contatto con la matrice letteraria sarà già a conoscenza del fatto che il libro, alla pari del film, rappresenta una di quelle rare eccezioni in cui il fantasma in questione ha un animo buono e sensibile. Il ché allontana Un fantasma in casa dalla visione inflazionata dello spettro cattivo e sanguinario, per mostrarcene una decisamente più benevola che riporta alla mente tanto Ghost, quanto Casper o Il fantasma del pirata Barbanera, dove di fatto viene ribaltata la figura dello spirito malvagio per costruire intorno alla stessa divertimento ed emozione. Ecco allora approdare sullo schermo una horror-comedy che prende in consegna stilemi dei due generi mescolandoli senza soluzione di continuità, così da ottenere un divertissement senza grosse pretese se non quelle di coinvolgere e intrattenere lo spettatore.
Il film di Landon, pur mantenendo l’anima dell’opera letteraria, se ne distacca aggiungendo tasselli alla storia e ai personaggi
Una combinazione, questa, che Landon (già autore di Disturbia e Auguri per la tua morte) ha preso in prestito dalle pagine firmate da Manaugh, fatte sue e poi plasmate al fine di essere ulteriormente espanse per andare incontro alle esigenze cinematografiche. Chi ha letto Ernest, infatti, avrà trovato delle sostanziali differenze in termini di sviluppi narrativi e drammaturgici tra l’opera letteraria e la pellicola. Pur conservandone e rievocandone plot, anima e personaggi principali, Un fantasma in casa amplia il racconto aggiungendo ulteriori tasselli alla storia e al background di chi ne è protagonista. Si tratta di aggiunte sacrosante, utili a rendere più chiaro e completo il discorso. Se il libro ometteva volutamente dettagli e dinamiche, lasciando al lettore il compito di andare a riempire a proprio piacimento gli spazi lasciati vuoti.
Il film al contrario li riempie tutti, lasciando allo spettatore il solo gusto della visione. Su tutto l’ampliamento del personaggio di Kevin con il conseguente ridimensionamento di quello del padre Frank, ma soprattutto la scelta di scavare sino in fondo nella tragedia di Ernest sino a giungere a scoprirne l’origine. Esigenze diverse per prodotti diversi, che hanno però in comune lo stesso desiderio di coinvolgere e divertire il rispettivo destinatario. Dunque, una trasposizione fedelissima in questo caso avrebbe nuociuto al progetto e soprattutto alla sua fruizione, ecco perché consideriamo gli interventi in fase di riscrittura voluti dal regista e sceneggiatore statunitensi assolutamente funzionali e non un tradimento fine a se stesso.
David Harbour diverte e si diverte, mentre Anthony Mackie appare un pesce fuor d’acqua
Il risultato tuttavia ha i suoi punti deboli, a cominciare dalla durata eccessiva che porta la timeline a sfiorare le due ore senza un vero motivo. Landon da consumato intrattenitore qual è, con lavori precedenti che pur nella loro non eccezionalità sapevano come accalappiarsi il pubblico (vedi Freaky), confeziona una sequela di scene appartenenti allo sterminato campionario dell’intrattenimento. Tra una scena d’azione e l’altra, incursioni nella ghost-story vecchia scuola, c’è infatti spazio anche per dinamiche da romanzo di formazione (amicizia, sentimenti e rapporto genitori-figli), riflessioni su temi attuali (il protagonismo da social e il bisogno di apparire per essere) ed elementi rievocativi della commedia slapstick, legati a doppia mandata alla caratterizzazione data alla figura di Ernest, che nelle mani di un attore come David Harbour producono buoni frutti. Non si può dire la stessa cosa dell’interpretazione in tono minore di Anthony Mackie, decisamente un pesce fuor d’acqua quando si tratta di portare in scena toni più leggeri. Capitolo a parte per i VFX, sui quali preferiamo non pronunciarci vista la bassa resa, che si palesa in tutta la sua scarsa qualità nell’epilogo sulla spiaggia.