Un’ombra negli occhi: recensione del dramma storico Netflix
Col dramma storico Un'ombra negli occhi, Ole Bornedal ci "educa" allo stupore e ci porta nel cuore di una delle fondamentali questioni aperte della filosofia e della metafisica: l'esistenza di Dio.
Uno sguardo sublime sull’orrore che ammutolisce, che fa “tempio” nei corpi e immobilizza negli ampi spazi che si aprono a un cielo cristallino. Con il suo ultimo lungometraggio Un’ombra negli occhi (conosciuto a livello internazionale con il titolo Skyggen i mit øje) Ole Bornedal dà prova di una notevole padronanza del mezzo cinematografico, riuscendo a catturare con delicatezza – e senza ricorrere alla spettacolarizzazione e a scene dagli effetti eclatanti tipiche della storia “ricreata”- l’essenza di un dramma corale. Il film è tratto da una storia vera, una produzione della Miso Filmin in collaborazione con Netflix e Film Makers. Il regista danese ci chiama a vivere un’esperienza unica ed emozionante tenendoci incollati a scrutare l’imperscrutabile, come fa con i protagonisti, davanti a un lucernario. Un’ombra negli occhi è disponibile sulla piattaforma streaming dal 9 marzo 2022.
Un’ombra negli occhi: l’Operazione Cartagine e quell’incursione aerea controversa su Copenhagen
Il film è stato realizzato con la tecnica del cross cutting. La cinepresa taglia da un’azione a un’altra, suggerisce la continua simultaneità attraverso una tecnica di montaggio che ci permette di seguire le vite, che si svolgono contemporaneamente, dei diversi personaggi, per poi ricongiungerle e farle intrecciare nella seconda tranche dell’opera ambientata in Danimarca. L’intera storia si svolge a Copenaghen, e inizia il 21 marzo 1945, quando in Europa è in corso la seconda guerra mondiale; le truppe tedesche sono oramai attaccate su ogni fronte dagli alleati. L’intreccio di Un’ombra negli occhi si tesse nel dramma dell’attentato organizzato nell’ambito dell’Operazione Cartagine effettuato dalla Royal Air Force britannica, quando la Resistenza danese chiede agli inglesi di bombardare la Shellhuset: il quartier generale della Gestapo situato nella capitale danese (che avrebbe potuto rappresentare il colpo di decisivo contro l’occupazione dei nazisti nella penisola) con l’obiettivo di distruggere gli archivi e uccidere più crucchi possibili. Intanto alla Shellhuset i tedeschi si aspettano un attacco imminente, quindi la Gestapo posiziona trenta prigionieri della resistenza danese sotto il tetto affinché vengano usati come scudi umani. Ma durante il tragitto degli aerei verso il singolo edificio da distruggere (alla fine distrutto) parte dell’incursione si dirige erroneamente contro una scuola francese vicina dove sono presenti bambini, suore cattoliche e insegnanti, e causa la morte di 125 civili.
Il vero tema affrontato dall’opera non è la guerra, ma l’amore inteso come misura della fede
Ole Bornedal (noto anche per il film con Ewan McGregor Nightwatch – Il guardiano di notte) ha evidentemente richiesto il massimo impegno ai suoi attori, pensiamo soprattutto ai giovanissimi Bertram Bisgaard (nel ruolo di Henry) e a Ella Josephine Lund Nilsson (Eva). Se si va fino in fondo all’opera si scopre che il vero tema affrontato non è la guerra e le sue conseguenze, ma l’amore visto come misura della fede. Colpisce il mondo filmico tagliato ad arte da un lavoro di regia che, attraverso alcune scene, spezza i toni drammatici e ci porta negli universi di un’innocenza primordiale. Con leggerezza Bornedal ci “educa” allo stupore e ci porta anche nel cuore di una delle fondamentali questioni aperte della filosofia e della metafisica: l’esistenza di Dio. C’è una scena della parte finale del film che “ghiaccia” chi guarda, ma accende anche la speranza: con un’inquadratura soggettiva e un tuffo il regista conferisce a Un’ombra negli occhi buona parte del suo spessore e significato rappresentando magnificamente quel naufragio inteso come completo abbandono e risoluzione nell’Assoluto.