In un posto bellissimo: recensione
Ricerca di se stessi e crescita personale per la bella Isabella Ragonese di Dieci Inverni e Tutta la vita davanti. Con pesantezza e ritmo decisamente sotto tono, la regista Giorgia Cecere di Il primo incarico riprende con stretti primi piani la vita piatta e vuota della puerile Lucia, madre e moglie amorevole, che vive il tormento muto di un tradimento vissuto sulla propria pelle. Forse fragile ed insicura all’inizio, l’incontro con il giovane Faysal cambierà le prospettive di Lucia, facendole trovare la forza di trasformarsi e tirare fuori quella parte di lei che inspiegabilmente rimaneva sempre in ombra.
Immergersi nella quotidianità di una protagonista fuori da ogni luogo e da ogni tempo diventa un’impresa coraggiosa con la seconda opera della regista italiana Giorgia Cecere, che regala un suo personale registro stilistico dimenticando che non sempre il semplice gusto personale basta per rendere un film sensibile o apprezzabile. Lento, scialbo, sconclusionato e con potere soporifero, il film inquadra il rapporto inadeguato di una donna e il marito fedifrago interpretato da Alessio Boni che va pian piano sfaldandosi con il formarsi del nuovo carattere di Lucia che muove il suo animo. Raccontare solamente la vita non volendo avere necessariamente una storia dietro, rende confuso e sconcertante In un posto bellissimo, conferendogli così una certa nullità, a partire dall’amicizia che la donna intreccia con lo straniero Faysal, al ricordo di una amica scomparsa da tempo. Senza spiegazioni psicologiche o di alcun senso introspettivo, si ha solamente la negazione di Lucia del non voler vedere le crepe di un’esistenza vuota, continuando a reprimere anche quelle verità più evidenti. Mancanza di comunicazione sia tra marito e moglie che tra personaggi e spettatori, un nonsense di avvenimenti che dovrebbero spiegare il cambiamento della donna è pressochè assente e per questa dimenticanza il film ne paga le conseguenze. Scarica di qualsiasi allegria, la coppia di sposi composta da Lucia ed Andrea è vicina ad una svolta totale che certo non emoziona, non colpisce, non dispiace e non interessa.
Pur se dell’arte il bisogno primario non è quello di avere ineluttabilmente un senso, con In un posto bellissimo si va veramente troppo oltre: pieno di momenti morti, di scene montate senza una consequenzialità o precisi riferimenti a vita, pensieri e sensazioni, il film ha come unica capacità quella di annoiare, non presentando allo spettatore il malessere interiore di Lucia, ma provocandolo a quella stessa persona che con forza di volontà cerca di seguire con pazienza lo sviluppo (assente) della trama. Al secondo lungometraggio, dove mantiene la medesima attrice protagonista, Giorgia Cecere fa un buco nell’acqua ed anche bello grosso, componendo insieme a Pierpaolo Pirone una sceneggiatura a suon di dialoghi al limite dell’assurdo e piena di banalità, i quali, combinati con un’evidente carenza di efficacia, creano un’aura surreale che riesce soltanto a far ridere dei momenti più drammatici di una donna che si è sentita sempre fuori posto. Il dramma di un’emarginata che mentre si avvicina alla conclusione riesce a scoprire quella forza che ha in fondo a se stessa, ma che durante la visione del film si spera venga trovata il più presto possibile per poter passare ad altro. Se si parla di un posto bellissimo, questo solamente Lucia lo ha trovato.