Una figlia: recensione del film di Ivano De Matteo con Stefano Accorsi

Ivano De Matteo torna al cinema con il film Una figlia, un dramma con protagonisti Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi.

Ivano De Matteo torna sul grande schermo dopo due anni dall’uscita di Mia, un successo di pubblico e critica. Regista di film quali I nostri ragazzi, La vita possibile, Villetta con ospiti, in Una figlia, come in molti altri lavori, è anche co-sceneggiatore insieme a Valentina Ferlan e autore del soggetto. Ispiratosi al romanzo Qualunque cosa accada, di Ciro Noja, a fatti di cronaca italiana e ad alcuni incontri con il pubblico a seguito della proiezione del precedente film Mia, Una figlia racconta la storia di Pietro e di sua figlia, Sofia, entrambi ancora provati da un grande dolore: la morte della moglie e madre della ragazza. Dopo qualche anno Pietro ha una nuova compagna, Chiara, e tenta di rifarsi una vita. Costantemente in conflitto con Chiara, Sofia compierà un gesto estremo che metterà a dura prova Pietro, diviso tra rabbia e affetto paterno, amore e ragione. Una figlia, con due magistrati protagonisti: Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi, affiancati da un cast composto da Michela Cescon, Thony, Barbara Chiesa, Beatrice Puccilli, Gabriela Govorusic, Anita Pititto e molti altri, arriva in sala dal 24 aprile 2025.

Una figlia è un film che lavora di sottrazione e che riprende i tratti che caratterizzano la regia e la scrittura di Ivano De Matteo

Una figlia - cinematographe.it

Una figlia non giudica e né sentenzia, ma riprende, racconta e descrive, dando modo al film di essere delicato e prudente, ma anche denso di una grave sensibilità. Un peso emotivo che a volte appare quasi faticoso e che è una percentuale bassissima dell’angosciante afflizione che i protagonisti provano. Dando pochi riferimenti e anche poche informazioni su ciò che è accaduto e su come tutto sia avvenuto, Una figlia decide di scavare in quella voragine che si apre sotto i piedi dei personaggi, in quel baratro interiore che non si vede e che Ivano De Matteo sceglie, con perizia e un briciolo di temerarietà, di affidare ai gesti, agli sguardi, tra inquadrature che sembrano rubate, riprese dagli angoli dove non sono visibili. Una figlia è infatti un film che si sente, rigoroso, lucido, attento ed emotivo. Le scene e il montaggio, spesso alternato, si prendono tutto il tempo per narrare l’azione.

Ma non si indugia solo sulle immagini che scorrono sullo schermo, ma anche su quello che sta avvenendo dentro i corpi di quei personaggi che si si spostano, stanno fermi, urlano, si dimenano e non hanno neanche la forza di muoversi o piangere. Ivano De Matteo decide così di non dire tutto, di mostrare le conseguenze di un qualcosa di terribile, senza però neanche soffermarsi sul chiare quell’atto in un modo o in altro: voluto, non voluto, incidente, impetuoso. Viene detto solo una volta, dal punto di vista giuridico, di che reato si tratti, ma è una frase come tante, detta da chi quelle parole le avrà pronunciate migliaia di volte, e da coloro per cui hanno sempre la stessa valenza. Se Una figlia parla del rapporto tra genitori e figli, di quegli sbagli che segnano per sempre, ma del quale è ancora possibile lavare le macchie, Una figlia è anche un dolore inespresso, un bisogno irrazionale, un cinismo istintivo, una luce in fondo al tunnel.

Un punto di vista inedito che cerca di vedere il mondo dagli occhi di chi è “colpevole”

Una figlia

Ciò che con serietà e convinzione si sceglie di mostrare sono quell’infinità di eventi che a seguito di un grave reato possono verificarsi: i media dal dente avvelenato, i social che esplodono d’odio, l’indifferenza del sistema carcerario e di quello giudiziario che non fanno distinzioni. Eppure neanche loro vengono colpevolizzati, figli di un mestiere che li obbliga a vedere prima il crimine e poi la persona. Una figlia però va oltre e si concentra anche su chi ama quella persona che commesso quel reato, affrontando il tema del perdono, della rabbia e anche della volontà di salvarsi. Il film cattura l’occhio e la storia appassiona, ma non tanto nella sua conclusione, più nel focalizzarsi su momenti a volte iterati, frequenti, ripetuti, come un tedioso, prolungato e interminabile percorso. Rendendo così ancor più fisso e ostinato, quasi abbagliante, quell’attimo che ha cambiato tutto. Un istante che rimane impresso, che si vede attraverso piccoli dettagli, senza però mostrare nulla.

La scrittura è levigata, ponderata e posata e molti dialoghi si vedono, ma non si sentono, esattamente per quel proposito limpido e terso che è raccontare tutto quello che è intorno alla vicenda. I personaggi di Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi, entrambi straordinari nelle interpretazioni, ma con la Francesconi che regala una performance davvero incredibile, sono co-protagonisti, protagonista e antagonista, alleati e nemici. Il punto di vista è quello di chi ha fatto del male, di chi ha commesso un reato, pur non volendo, ma che sa di dover pagare per ciò che ha fatto. A distruggere, lentamente, Sofia, è qualcosa che sa però realmente solo lei. Che striscia dentro di lei e infetta ogni angolo della sua psiche e della sua mente, persuadendola nell’indiscutibile certezza che non ci sia perdono, né soluzione; che non ci sia più nulla per cui continuare a vivere. Così come nel personaggio di Pietro quando prendere quella scelta che si considera forse insolita e anomala, ma che al tempo stesso si comprende. Perché la situazione è troppo estrema perché chiunque possa dare giudizi.

Una figlia: valutazione e conclusione

Una figlia

La fotografia del film accompagna ogni scena, dove gli ambienti sono spesso lugubri, rigidi e smorzati, ma più luminosi e caldi nei volti, nei primi piani, a simboleggiare una costrizione. Mentre poi lentamente i colori si spengono, e anche sguardi e occhi perdono la loro luce pastosa e vitale, ogni scena diventa ombrosa, plumbea, quasi opaca. Quando però la speranza e la possibilità di rinascita sembrano farsi sentire, gradualmente, la luce torna nei visi e poi nei luoghi. Una figlia ha un approccio empatico, in un dramma che, differentemente da Mia, film con un inizio e una fine, dove cresce e, incandescente, sbotta nel finale, qui arriva subito e cerca di scrutarne e captarne le conseguenze, su chi ha agito e su chi ha subito. De Matteo gestisce le emozioni dei suoi personaggi, ornandole di sfaccettature, dando a ogni ripresa un suo senso specifico, prima nel particolare dell’evento e che poi si tramuta in universale. Perché Una figlia è l’apice dell’immedesimazione. Senza dare risposte, trovandosi d’accordo o in disaccordo con i protagonisti, porta a chiedersi se quello sbaglio, anche fosse il peggiore della propria vita, possa definire per sempre chi l’ha commesso.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione 4 - 4

3.5