Una gran voglia di vivere: recensione del film con Fabio Volo

Una commedia romantica di ultima generazione, tratta dall'omonimo romanzo di Fabio Volo

Da Domenica 5 febbraio è disponibile, su Prime Video, il film di Michela Andreozzi, Una gran voglia di vivere, con Vittoria Puccini e Fabio Volo, tratto dall’omonimo romanzo di Volo stesso.

Il film è una commedia romantica e racconta la storia di una coppia in crisi, che decide di fare un viaggio on the road in Norvegia con il figlio, per cercare di risolvere le cose.

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Una gran voglia di vivere: un mondo bidimensionale

La Andreozzi dirige Una gran voglia di vivere con buon mestiere, ma senza esuberanza. I punti di vista delle inquadrature sono convenzionali e improntati su una certa bidimensionalità dell’immagine, in cui dominano le linee rette e una costruzione simmetrica degli spazi. È come se la macchina da presa planasse su delle superfici piatte e non riuscisse mai ad addentrarsi nel mondo delineato. La profondità di campo, come quella concettuale, latita e così il film non riesce a essere uno spaccato realistico, sebbene improntato alla leggerezza, di una coppia in crisi. Esso si configura piuttosto come messa in scena dell’immagine di una coppia in crisi, riflessa attraverso il filtro dei cliché tipici della commedia romantica italiana di ultima generazione. Non vi è alcuna introspezione psicologica. I protagonisti appaiono come la versione un po’ macchiettistica di stereotipi tanto comuni, quanto abusati, tipici delle narrazioni filmiche contemporanee. Si tratta di figure dell’immaginario relativamente nuove, che vorrebbero incarnare le complessità dell’essere adulti per gli appartenenti a una generazione che ha prolungato all’inverosimile la condizione adolescenziale – generazione che poi è quella dell’autore del romanzo d’origine.

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Il marito è l’uomo dominato da razionalità e complessi infantili, che intende la vita come un percorso predeterminato da cui escludere ogni imprevisto, ma che è irrimediabilmente attratto dal suo opposto. Cioè da una sorta di confusione gioiosa e istintuale, che però sa anche essere materna e protettiva. La moglie, la donna, naturalmente incarna alla perfezione questo secondo stereotipo. Dunque la storia della crisi fra i due non riesce a descrivere una condizione esistenziale realistica. Quelle che si scontrano non sono delle identità verosimili, quanto delle funzioni narrative, atte ad affermare l’importanza del concetto di famiglia tradizionale, come valore imprescindibile dell’identità italiana, anche nel mutato contesto culturale contemporaneo, fatto di nonne sprint amanti della marijuana e famiglie nordiche composte da due mamme e figlio.

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Un viaggio narrativamente inutile

Non risulta strano, allora, che l’intero conflitto sentimentale di Una gran voglia di vivere si dipani lungo una sorta di viaggio costruito attorno a gag e situazioni altrettanto stereotipate. All’interno di questa struttura narrativa una cultura straniera, come quella scandinava e modelli di vita diversi da quello italiano vengono ridotti a marche di un moderno esotismo magico. La Norvegia è una specie di immenso parco giochi a tema vichingo. I vichinghi d’altro canto sono solo un’altra figura dell’immaginario, accomunabile al Thor della Marvel. Il mondo musulmano, con le sue usanze coniugali rappresenta un’alterità bislacca, pronta però a donare perle di saggezza decontestualizzata agli occidentali. La coppia spagnola, che ha lasciato tutto per vivere una vita a contatto con la natura in Norvegia, si rivela un coacervo di nevrosi e fallimenti. Persino il regno animale, simboleggiato da un orso, finisce, quasi disneyanamente, per diventare elemento spirituale al servizio dell’evoluzione del personaggio interpretato da Volo.

Tutto ciò ha la funzione di aiutare i protagonisti a ritrovare sé stessi, accennando a una sorta di progressione psicologica, che si rivela però strumentale per risanare la rottura iniziale che minacciava l’unità della famiglia tradizionale. Così che alla fine, in maniera piuttosto prevedibile, il punto di inizio del viaggio coincide con quello finale, cioè cambia tutto, affinché non cambi niente. Nella tradizione della più vieta commedia italiana, l’intero percorso narrativo dei personaggi non serve a problematizzare la visione del mondo offerta dall’autrice e condivisa dallo spettatore, mettendone magari in dubbio le certezze. Invece ne riafferma i valori culturali legati agli stereotipi rappresentativi più sopra descritti, rispecchiando l’immagine di un’identità culturale italiana radicata nel piccolo mondo borghese, che ruota attorno al concetto di famiglia tradizionale.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3