Una Mamma contro G.W. Bush: recensione del film di Andreas Dresen
Cosa è disposta a fare una madre per riavere suo figlio? Qualunque cosa, anche citare in giudizio il Presidente degli Stati Uniti. Una Mamma contro G.W. Bush arriva nelle sale italiane il 24 novembre 2022.
La scelta di un buon titolo non è tutto, però aiuta. Una Mamma contro G.W. Bush, dirige il tedesco Andreas Dresen, nelle sale italiane il 24 novembre 2022 per Wanted Cinema dopo il passaggio al Festival di Berlino 2022, è un titolo soddisfacente. Ha il merito di andare dritto al punto e qui il punto è una premessa talmente assurda che non può non essere vera. Infatti è tutto vero. Il mondo in cui una donna qualunque cita in giudizio l’uomo più potente della terra, non è il caso di spingerci troppo oltre con gli spoiler ma, ehi, ci hanno girato un film, lascia spazio a un po’ di speranza e di immaginazione. Un Frank Capra più vero del vero?
Non proprio. Una Mamma contro G.W. Bush (figlio) è un titolo che funziona perché tradisce in pieno sole i contorni di un’operazione che vuole, cocciutamente, imporsi come materia sfuggente e ostinatamente contromano. L’etichetta più appropriata sarebbe quella di commedia venata (forse qualcosa in più) di malinconia e dai contenuti inevitabilmente politici. La leggerezza serve a moderare gli spigoli; c’è davvero poco da ridere. A Berlino vince due premi, l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura a Laila Stieler e quello per la miglior attrice protagonista a Meltem Kaptan. Nel gergo giornalistico, ci si riferisce a personaggi (persone) come il suo parlando di madre-coraggio.
Una Mamma contro G.W. Bush: Brema-Guantanamo, sola andata?
Ne serve, di coraggio, a Rabiye Kurnaz (Meltem Kaptan). Il titolo originale rende giustizia alla vulcanica esuberanza della protagonista in modo puntuale, omaggiandone gli sforzi titanici e opponendola senza intermediari al nemico senza volto (sarebbe Rabiye Kurnaz gegen George W. Bush). L’italiano tende a generalizzare e sfuma un po’, Una Mamma contro G.W.Bush, ma importa poco. Quello che è importante arrivi alla coscienza dello spettatore, in fin dei conti arriva. Rabiye è una donna, una madre, coraggiosa, testarda e semplicemente inarrestabile. Qualità particolarmente appropriate per affrontare i venti di tempesta che soffiano sulla sua famiglia. Su un membro in particolare.
Quando nell’ottobre del 2001, pochi giorno dopo l’11 settembre, proprio all’inizio della guerra globale al terrorismo patrocinata dall’America ferita di mr. Bush figlio, Rabiye Kurnaz, casalinga turca residente a Brema, scopre che suo figlio Murat (Abdullah Emre Öztürk) è sparito nel nulla, si preoccupa ma ancora fatica a capire. Capirà, poco a poco, ma solo più avanti. Rabiye ha un marito (Nazmi Kirik), altri due figli, una sorella, una nuora (moglie di Murat) che attende in Turchia notizie del marito scomparso. Non è pronta lei, non sono pronti loro, ad accogliere la verità. La verità li mette al centro del mirino.
Murat non è semplicemente sparito, è fuggito in Pakistan dove è stato arrestato dalla forze americane, accusato di collusione con il regime Talebano e più in generale di fiancheggiamento al terrorismo, da lì trasportato (con il concorso inerte delle autorità tedesche) in un posto in cui è meglio non finire e da cui è complicato uscire. Si può far commedia, per quanto dignitosa, su Guantanamo? Sembra possibile, Una Mamma contro G.W. Bush ci prova, per lo più riuscendoci. La crociata legale intrapresa dalla vulcanica Rabiye per riportare il figlio a casa, che nel frattempo è detenuto ma senza giusto processo, non è soltanto una traversata nel deserto del diritto condotta fianco a fianco a un avvocato perbene, Bernard Docke (Alexander Scheer), l’Atticus Finch dei diritti umani che non ci meritiamo. Il film è anche un’esplosione di vitalità, piatti iper calorici, guida spericolata, positività incrollabile. Almeno nella prima parte, poi la stanchezza ha comprensibilmente la meglio sulla protagonista.
La storia di una madre che si batte per suo figlio, tra politica e sentimento
Il governo tedesco non fa assolutamente nulla per riportare a casa Murat, anche perché il ragazzo ha origini turche. Il governo americano, idem. Ma Rabiye e Bernard sono abbastanza pazzi per provarci lo stesso, il risultato di tanta cocciutaggine è una sfida ai poteri costituiti e un sincero appello ai custodi della giustizia perché mettano fine allo scempio di una detenzione senza fondamenti e condita di atrocità e soprusi. Riusciranno nell’impensabile, arrivando alla Corte Suprema degli Stati Uniti, citando in giudizio il Presidente degli Stati Uniti d’America. Tutto nel segno della riconciliazione turco-tedesca, a tutela dell’onorabilità di un nome, involontariamente aiutando l’America smarrita nei labirinti morali della guerra al terrore a redimersi. Questo è il vento politico che soffia sulla storia. Al centro della storia c’è altro.
L’amore incrollabile di una madre per suo figlio. Pagherà in prima persona il prezzo dei suoi sforzi. Una Mamma contro G.W. Bush estrae dall’attualità ormai non più così recente una storia esemplare, capace di parlare in modi diversi al cuore dello spettatore. Intreccia politica e sentimento, senza preoccuparsi di razionalizzare troppo. La vità è complicata e parte di questa complessità il film riesce a riprodurla anche lavorando all’accostamento di caratteri e personalità opposte. Sono Rabiye e Bernard, lei esplosiva, lui più sobrio, alle prese con una storia ingombrante che li costringe a pagar dazio nel privato e interviene sulle rispettive psicologie. Rabiye non uscirà indenne dalla vicenda, mentre Bernard, sempre più padrone della situazione e man mano più coinvolto, saprà starle accanto.
D’altronde si parla sempre di dosaggio degli ingredienti. Andreas Dresen non batte sentieri inesplorati. L’idea di stemperare umoristicamente, almeno al principio, le asprezze del racconto, non è originale ma a saperla maneggiare offre le sue ricompense. Dato il fondo politico (squallido) della vicenda, l’approccio dal sapor di commedia può risolversi in un brioso esercizio di ambiguità. Associare leggerezza e Guantanamo è un’operazione rischiosa ma che può “educare” lo spettatore a riconsiderare le sue aspettative, a proposito di un certo tipo di storia e del modo più corretto di affrontarla. Ben venga il metodo Dresen.
Quello che manca, a Una Mamma contro G.W. Bush è, nella prima parte, un equilibrio più strutturato tra umorismo, sentimento e politica. Ne scaturisce un senso di irrealtà corretto ma soltanto nella seconda parte, quando l’umorismo cede il passo alla stanchezza e alla conta psicologica dei danni. E il quadro si fa più ragionato e realistico. Resta, del film e dei suoi saliscendi, la curiosità della premessa, l’esplosività della brava protagonista Meltem Kaptan, la capacità di correggere il tiro strada facendo e, soprattutto, l’averci ricordato che Guantanamo esiste, è esistita e, purtroppo, esisterà ancora.