Una vita spericolata – recensione del nuovo film di Marco Ponti
La recensione di Una Vita Spericolata, il nuovo film di Marco Ponti con protagonisti Lorenzo Richelmy e Matilda De Angelis
Dopo i successi delle commedie romantiche Io che amo solo te e La cena di Natale, Marco Ponti torna alla regia con Una vita spericolata, commedia “on the road” con Lorenzo Richelmy, Matilda De Angelis ed Eugenio Franceschini, in uscita il 21 giugno.
Rossi è una ragazzo sfortunato, sommerso dai debiti e con un’officina meccanica che non decolla. Condivide i suoi fallimenti con il migliore amico BB, ex campione di rally che gestisce un bar. Disperato, Rossi decide di recarsi in banca per chiedere un prestito ma inutilmente. Preso dal panico e infastidito dalle urla di una ragazza, perde la testa e senza neanche accorgersene si ritrova a mettere in atto una rapina. Con un borsone pieno di soldi Rossi comincerà una rocambolesca fuga con l’aiuto di BB e tenendo in ostaggio la ragazza che si scopre essere Soledad Agramante, una famosa attrice di fiction di serie b. Ma il bottino, in realtà, non appartiene alla banca ma a una banda di spietati criminali disposti a tutti per riaverlo.
Una vita spericolata – più Robin Hood che Bonnie e Clyde
Una commedia “sociale” che prende spunto dalla realtà italiana: le aziende che licenziano lavoratori vicini alla pensione, i giovani che non trovano la loro strada ostacolati da numerose difficoltà. I protagonisti di Una vita spericolata cercano il loro posto nel mondo ma dopo una serie di scelte sbagliate si ritrovano ai margini della società e senza nulla in cui sperare. Anche la “privilegiata” Soledad è una fallita che si svende a produttori e sceneggiatori per poter lavorare e che, a soli 23 anni, si sente già da buttare in un mondo che chiede solo di essere giovane, bella e disponibile.
Rossi e BB appaiono chiaramente come i fratelli minori di Andrea e Bart in Santa Maradona film d’esordio del 2001 di Marco Ponti: anche loro, in piena crisi e nevrotici, tentavano di dare una svolta alle loro vite. Rossi e Bart lo fanno inconsapevolmente con un’improbabile rapina che li trasforma più in degli strampalati “Robin Hood” che in una versione alternativa di Bonnie e Clyde. È forse quella vita spericolata che Andrea e Bart sognavano diciassette anni fa.
Una vita spericolata è una commistione di generi
Il tono, rispetto a Santa Maradona, è nettamente diverso e il regista mette in scena un film “sperimentale” in cui tenta una commistione di generi: dallo spaghetti western – con veri e propri duelli con le pistole e le didascalie che presentano i personaggi alla Sergio Leone – al comico demenziale fino allo splatter che strizza l’occhio a Quentin Tarantino con tanto di arti amputati. Il risultato però appare decisamente confuso e superficiale: numerosi i buchi di sceneggiatura e le situazioni inverosimili, come lo stesso colpo in banca o i risvolti personali e psicologici dei protagonisti che vengono risolti in maniera troppo frettolosa: vedi l’improvviso ménage à trois tra Rossi, BB e Soledad che ricorda tanto il torrido rapporto dei protagonisti de Le Belve di Oliver Stone.
Si tenta anche di fare il verso all’irresistibile comicità grottesca dei fratelli Cohen nei momenti che dovrebbero essere più seri e drammatici ma anche queste scene risultano troppo forzate e per niente trascinanti. A questo si aggiunge il cocainomane e isterico Capitano Geppi (Massimiliano Gallo) un “cattivo tenente” all’italiana e la perversa Castiglioni (Michela Cescon) simile al boss “belva” di Oliver Stone interpretato da Salma Hayek.
Un’ “avventura” partita con i migliori presupposti: i protagonisti che con la loro fuga tracciano una simbolica linea tra il Piemonte fino al tacco dello stivale, in Puglia, a Santa Maria di Leuca, la Finibus Terrae, per trovare se stessi, per rinascere dalla fine. Ma se Ross, BB e Soledad forse ce la fanno, il film, invece, si perde per strada.