Uncharted: recensione del film con Tom Holland
Il lungometraggio, diretto da Ruben Fleischer con protagonisti Tom Holland e Mark Wahlberg, porta sul grande schermo le avventure di un giovane Nathan Drake, riprendendo l'anima della serie action con dinamicità e comicità, ma rimanendo ancora troppo acerbo.
Uncharted, pellicola diretta da Ruben Fleischer (già regista di Zombieland e Venom), è il primo titolo dell’etichetta PlayStation Productions, sussidiaria di Sony Computer Entertainment che ha l’ambizione di adattare sul grande schermo videogiochi iconici della compagnia, che sono esclusive della console PlayStation. L’importanza di questo film è quindi cruciale non soltanto perché è il vero e proprio apripista di questo progetto filmico, ma anche perché è la trasposizione di una delle saghe videoludiche più apprezzate e riconoscibili del mondo dell’intrattenimento. Prendete il leggendario Indiana Jones, mischiatelo a livello ludico con Tomb Raider e avrete in mano un risultato esplosivo, con già tanti spunti cinematografici che finalmente hanno potuto esprimere appieno la loro tensione artistica.
Uncharted, per quanto soffra di qualche problema di scrittura e di organicità, riesce comunque ad essere un buon capitolo iniziale che ha tutte le carte in regola per portare nei prossimi anni un franchise inedito e fresco nel panorama della settima arte. Con l’anima dei videogiochi quasi intatta e un retelling giovanile dei protagonisti, la pellicola intrattiene degnamente, tra enigmi, sparatorie e battute taglienti. Il titolo, che vede Tom Holland interpretare l’eroe Nathan Drake e Mark Wahlberg nei panni del suo mentore-spalla Victor “Sully” Sullivan, arriva nelle sale il 17 febbraio, distribuito da Warner Bros. e Sony Pictures Italia.
Uncharted: Nathan Drake prende forma, con ironia e dinamismo
Uncharted si apre con una scena in medias res altamente spettacolare e torna dopo pochi minuti alla situazione iniziale, ad un Nathan Drake bambino (Tiernan Jones) e al suo rapporto con il fratello Sam (Rudy Pankow) mentre sono intenti a trafugare una misteriosa mappa. A unire i due, la passione per la scoperta, per i tesori sepolti e le reliquie, oltre che una discendenza d’eccezione, quella con Sir Francis Drake, corsaro, navigatore e politico inglese vissuto durate il regno di Elisabetta I. Le prime battute della pellicola sono perfette per capire lo spirito del film, a metà tra un action dinamicissimo e vario e un’ironica galoppata quasi in stile buddy cop, una duplice anima che è sempre stata presente anche all’interno della saga videoludica sviluppata da Naughty Dog.
Ed in questo, c’è da dire che il lungometraggio cerca in tutti i modi di riprodurre sul grande schermo le stesse vibrazioni e sentimenti che emana la serie uscita su PlayStation e ci riesce bene, anche se fa molto strano vedere come la costruzione dei personaggi sia un po’ differente rispetto alla caratterizzazione videoludica. Ciò, ovviamente, deriva dal fatto che Uncharted racconta gli anni giovanili di Drake (e di altri comprimari) che, all’interno della saga, sono solo brevemente accennati e non esplorati a dovere. Una soluzione brillante che ha dato la possibilità alla produzione di seguire parte del canone imposto dal materiale originale, ma anche di sperimentare in modo libero.
I protagonisti, ovvero Nathan e Victor Sullivan, il suo mentore doppiogiochista, portano, sia nel cuore degli appassionati che dei novizi del brand, le motivazioni giuste per assaporare il film. Ce lo suggeriscono i freschi scambi tra i due, le battute sagaci, il loro background esplicativo, ma con alcuni elementi ancora da scoprire (e forse nei prossimi anni ne vedremo delle belle). Se la scrittura della coppia è mirata, a completare il tutto ci pensano Tom Holland e Mark Wahlberg, che definiscono ancora meglio le due figure. Holland si sta formando sempre di più come attore e questa prova attoriale non fa che dimostrare non solo la sua duttilità, ma anche la sua maturazione come giovane artista capace di dare vita ad un personaggio realistico, divertente, affascinante.
L’esperto Wahlberg, invece, con le sue espressioni facciali e il suo cinismo disarmante, insinua continui dubbi nello spettatore tenendolo con il fiato sospeso, dimostrando inoltre di avere una chimica incredibile con il suo giovane collega. Registicamente parlando, salvo alcuni passaggi particolarmente significativi, abbiamo un taglio medio tipico del genere, senza particolari eccellenze, ma con un valore aggiunto derivato dal profondo background videoludico, che all’interno della pellicola trova parecchi spunti di creazione, specialmente nell’ideazione di alcune scene action fortemente radicate nell’immaginario dei fan della saga. Da non sottovalutare, inoltre, la varietà di situazioni che viene posta di fronte al pubblico: abbiamo enigmi, introspezione dei personaggi, flashback, combattimenti intensi e, soprattutto, momenti adrenalinici.
Uncharted: un progetto ancora troppo imperfetto
Tornando ai collegamenti palesi alla saga videoludica di Uncharted, c’è da dire che non ci sono delle sequenze del tutto identiche, ma abbiamo delle ispirazioni varie che traggono forza da alcuni momenti emblematici dei quattro capitoli principali della serie. Se, come vi abbiamo anticipato sopra, tali situazioni sono da apprezzare perché sottolineano la cura dietro il progetto, al tempo stesso sembra che questi passaggi in alcuni casi siano un po’ troppo fini a sé stessi e messi lì solamente come legami espliciti al materiale originale. Per quanto siano contestualizzate all’interno della trama, ci sono delle riprese di Fleischer che sembrano soddisfare più il gusto estetico e citazionistico, che la funzionalità registica e narrativa. Non a caso, quando invece i riferimenti sono più labili e maggiormente creativi, il risultato è migliore e interessante per lo sperimentalismo adottato.
Abbiamo parlato ottimamente dei protagonisti della pellicola, ma ahimè gli antagonisti non sono ugualmente funzionanti: oltre a spaventare un po’ i nostri eroi, non rappresentano praticamente mai una reale minaccia che invece si concretizza quando gli sgherri dei villain assediano Nathan e Victor. L’effetto un tantino surreale è che i reali ostacoli ai nostri cacciatori di tesori sono delle figure prive di spessore, più che coloro che li comandano. Per quanto Antonio Banderas si sforzi, il suo Moncada è realmente dimenticabile: il solito macchiestico e stereotipato cattivone che si qualifica con la sua smodata ricchezza, ma che non ha obiettivi così tanto complessi. Parlando invece di Braddock (Tati Gabrielle), ci limitiamo a dire che è sicuramente più coinvolgente dell’altro, ma che manca comunque di quel guizzo artistico che l’avrebbe resa un villain dignitoso.
Pesando pregi e difetti, è evidente che Uncharted non sia per nulla perfetto: tutto sommato è un buon film sulle origini di Drake e soci, ma purtroppo è ancora troppo acerbo per essere considerato riuscito ottimamente. Mancano ancora quegli elementi di fino, ma importanti, per rendere il tutto ancora più credibile: avremmo avuto bisogno di antagonisti con gli attributi e anche di altra innovazione in più, per vedere maggiormente come questo adattamento sia una curiosa e divertente reinterpretazione del videogioco. E per chi, invece, non ha mai giocato alla saga su PlayStation o magari non conosce proprio il brand? Beh sicuramente non rimarrà deluso e forse potrebbe avere qualche stimolo in più a provare su console cosa significa interpretare i panni di Nate.
Uncharted viene da una produzione particolarmente travagliata, ma nonostante questo, riesce a portare sul grande schermo un obiettivo per nulla facile: dare inizio in modo dignitoso ad un brand che probabilmente avrà del gran potenziale, sempre se il pubblico gli darà credito. I protagonisti funzionano (anche per merito degli attori) così come l’atmosfera, scanzonata e dinamica, riprendendo a piene mani la serie videoludica. Il citazionismo, invece, per quanto sia un punto di forza, è un’arma a doppio taglio, che mina alcune opportunità creative che invece non vengono colte. Un titolo, quindi, non ancora centrato al massimo, ma che funziona, investendo tanto nella caratterizzazione dei personaggi principali e nella varietà delle scene, ma lasciandosi scappare gli antagonisti, banali e dimenticabili.