Uncle Frank: recensione del film su Amazon Prime Video
La recensione di Uncle Frank, con Paul Bettany e diretto da Alan Ball. Disponibile su Amazon Prime Video dal 25 novembre.
Ci sono rapporti che segnano, che aiutano a crescere, a sentirsi parte di qualcosa proprio nel momento in cui non ci si sente capiti da nessuno. Ci sono persone unite al di là dei rapporti di semplice parentela, fine a sé stessi, ma da più profondi rapporti di sangue, una corrispondenza d’anima e di spirito, un esserci per l’altro nonostante le distanze, gli anni di differenza. Franck e Beth, zio e nipote, sono stretti da qualcosa di speciale: lui le apre la mente, le ricorda che ha tutte le carte in regola per fare grandi cose, per seguire i suoi sogni, rompendo i cliché e gli stereotipi – siamo negli anni ’70. Lei, grazie a questa figura, quasi mitica, decide di essere se stessa, di non diventare la classica mogliettina di Creekville, piccola cittadina della Carolina del Sud – dove è nata e ha vissuto parte della sua vita -, con bambini e schiacciata dagli uomini di famiglia, così va all’Università e si apre al mondo. Frank e Beth sono i protagonisti di Uncle Frank, il film di Alan Ball (premiato nel 2000 con l’Oscar alla sceneggiatura per American Beauty di Sam Mendes, in tv lavora a Six Feet Under, a True Blood), disponibile dal 25 novembre su Amazon Prime Video.
Uncle Frank: un viaggio di libertà e d’amore
Uncle Frank è un film in cui Ball racconta un po’ anche sé stesso – come accade nei suoi lavori –, la sua storia, quella della sua famiglia, tornando a trattare alcuni dei temi a lui più cari: la vita e la morte, il bisogno di essere accettati. Proprio come lo zio Frank (Paul Bettany) anche Ball arriva da un piccolo pezzo di mondo, cresciuto da genitori conservatori, omosessuale (dichiarato e sostenitore della battaglia LGBTQ) anche a lui è stato insegnato che ci sono regole da seguire, che ci sono mete prestabilite da raggiungere. Come lo zio Frank anche lui aveva una Beth (Sophie Lillis), piena di talento, intelligenza, bisognosa di qualcuno che si facesse sua ancora di salvezza. Uncle Frank mette in scena il percorso/un viaggio esteriore ed interiore, di un uomo e di una ragazza, della loro evoluzione e crescita, dimostrando come non sia sempre facile trovare il proprio posto nel mondo e essere ciò che si è.
Beth trova in Frank, una corrispondenza, un’educatore sentimentale e sessuale – senza troppi pudori lo zio dice alla nipote che se fosse rimasta incinta sarebbe dovuta andare prima da lui e non dal padre o dalla madre perché l’avrebbero costretta a tenere il bambino -, un motivatore – deve andare all’università -, spinta per pensare al futuro, una divinità pagana da ammirare. Lo zio le insegna la libertà ma la ragazza è inconsapevole del fatto che è difficile anche per lui vivere in nome di essa.
“Sarai la persona che tu decidi di essere o quella che tutti gli altri ti dicono di essere? La scelta spetta a te, soltanto a te”
Uncle Frank è un racconto d’amore verso gli altri e verso se stessi, verso che ti stimola e ti spinge, verso chi c’è sempre e comunque. Beth adora lo zio, lo dice subito, fin dalle prime battute, ed è suo lo sguardo che ci porta a conoscere Frank, la sua storia. Ama il suo coraggio, la sua libertà – non sa che anche lui ha un segreto, la sua omosessualità, un compagno – e per questo continua con quello stesso coraggio a vivere i propri sogni e la propria vita: va all’università avendo sempre come mantra le parole di Frank (intellettuale ed insegnante).
Un road movie delicato e dolce
Quasi per caso la ragazza scopre il segreto dello zio, la sua omosessualità, scopre che anche lui ha delle paure e ne resta stupita solo per un momento – alla famiglia lo zio aveva presentato una ragazza con cui diceva di convivere – per il fatto che quel gigante con i piedi d’argilla ha in lui un lato fragile. Beth accoglie e abbraccia lo zio – abbraccio di cui l’uomo ha sempre avuto bisogno – e Wally, l’uomo meraviglioso con cui lui divide la vita, capisce ogni cosa ed entra a far parte di quel rapporto a due, tanto la ama Frank, tanto la ama Wally, diventando una nipote acquisita.
Il film diventa un road movie nel momento in cui a Beth e a Frank giunge notizia della morte del nonno e del padre, partono per tornare a casa e essere presente al funerale. Per Frank è stata una decisione difficile, in un primo momento aveva pensato addirittura di non partecipare alle esequie, quel padre gli è sempre stato nemico, ostile a lui e a ciò che è. Il film di Ball è delicato, dolce, rispettoso dei sentimenti di Frank e fino a questo punto si era aperto, svelato, solo a noi spettatori, mostrandoci i momenti drammatici della vita del giovane Frank, le sue insicurezze e la decisione di non portare ciò che è in famiglia, ora è arrivato il momento di aprirsi anche con i personaggi della storia, prima di tutti Beth che si trova di fronte alla verità sul passato di suo zio e anche, in parte, della sua famiglia. Uncle Frank è inoltre un’opera sul ricordo, proprio mentre l’uomo torna a casa o pensa a quel nido con le staccionate bianche in cui si è sempre sentito straniero, riaffiorano i giorni più duri, quelli che hanno segnato la sua esistenza, la sua esclusione.
Uncle Frank: tornare dove ogni cosa è iniziata
Deve riportare tutto là dove ogni cosa è iniziata, nel posto in cui ci si dovrebbe sentire al sicuro, lì invece in un momento preciso della sua storia tutto è andato in mille pezzi e da lì ha incominciato ad indossare maschere ed è giusto che proprio tra quelle mura i personaggi si parlino veramente, si denudino, mostrandosi per quello che sono, in tutta la loro fragilità. Beth scopre che dentro lo zio c’è un mondo ancora più bello, che sotto quegli abiti da intellettuale ci sono lacrime, “marginalità” (nel senso di sentirsi messo a margine), un profondo buco nero che lo ha distrutto ma che può diventare origine di abbracci e amore. Frank rappresenta tutti quegli uomini e quelle donne che hanno dovuto, e alcuni purtroppo ancora devono, mentire per essere accettati, che hanno dovuto costruirsi per presentarsi, indossando un volto diverso dal proprio dai tratti rassicuranti per gli altri. L’uomo è tutti coloro che hanno vissuto sentendosi sbagliati ma arriva un momento in cui è troppo, non si può più mentire.
Il film entra a poco a poco sotto la pelle dei personaggi, fino al momento in cui la famiglia si riunisce sembra non essere successo nulla, invece qualcosa si è mosso, qualcosa cresce, si prepara ad esplodere. L’esplosione arriva fragorosa solo alla fine e lo spettatore non ne è stupito – lui è stato preparato -, anzi ne è e si sente profondamente partecipe e questo perché Ball è bravo a portare nel modo di Beth e di Frank chi guarda, lo rende parte del loro abbraccio, parte di quel piccolo, grande mondo.
Un film intenso e sincero
Uncle Frank riesce a creare una profonda empatia con i personaggi e, in un film in cui si parla anche di esclusione (quella in cui si è sentito Frank), in ogni singolo istante ci si sente accettati da quel microcosmo; tutti almeno una volta ci siamo sentiti messi al margine perché diversi o presunti tali, l’opera di Ball cicatrizza le ferite, accarezza e ricorda che è un dolore comune.
Il regista con uno sguardo puro, sincero, fermo e accogliente, costruisce una piccola epopea di un uomo: Frank cresce con Beth, matura, fa pace e comprende il sé del passato e il passato stesso, ed è pronto a portare alla luce il sé del presente. Passano in secondo piano alcune fragilità della storia perché Uncle Frank punta ad altro ad accarezzarci con gli abbracci, l’amore di uno zio e di una nipote speciali, a raccontarci le emozioni profonde dei protagonisti, interpretati benissimo da Paul Bettany e Sophie Lillis, a spezzarci il cuore con gli intensi respiri, la rabbia esplosiva e le lacrime disperate e tenere di chi porta i segni delle proprie tragedie e dei propri sentimenti.