Undine – Un amore per sempre: recensione del film

Il mito dell'ondina prende vita in questa poetica pellicola di Christian Petzold che torna sul grande schermo con una storia d'amore tanto intensa quanto evanescente, costruendo sul significato simbolico dell'acqua un racconto di notevole intensità visiva e drammaturgica. 

In concorso alla 70esima Berlinale, Undine – Un amore per sempre è il nuovo film dell’acclamato regista tedesco Christian Petzold, nelle sale cinematografiche dal 24 settembre.
Il mistero del folklore germanico anima dal fondo quest’opera intrisa di metafore e rimandi al mito e la storia d’amore al centro del racconto si sviluppa sotto le mani di un regista che ha costruito sul ritratto femminile il suo cinema d’autore.

La trama di Undine – Un amore per sempre

Undine (Paula Beer) è una giovane storica impiegata presso il Märkisches Museum di Berlino, dove si occupa di raccontare a gruppi di studiosi e visitatori l’evoluzione urbanistica della città attraverso grandi plastici che la rappresentano. La sua storia comincia in una brutta giornata, quando il suo fidanzato Johannes (Jacob Matschenz) la lascia, ferendola a tal punto che la donna gli promette che lo avrebbe ucciso. Undine fa un incontro che ha dell’assurdo, immediatamente dopo essere stata lasciata: all’interno del bar di fronte al museo dove lavora, Undine conosce Christoph (Franz Rogowski) in una circostanza altamente simbolica. I due, infatti, hanno un rocambolesco incidente durante il quale causano la rottura dell’acquario del locale, venendo inondati dall’acqua al suo interno. La scintilla dell’amore si innesca subito tra Undine e Christoph, il quale lavora come sommozzatore. Così, Undine inizia a plasmare un nuovo plastico della sua esistenza, un nuovo capitolo che ha per protagonista Christoph. Ma la loro storia si incrina, proprio come il vetro di quell’acquario, quando Christoph telefona a Undine confessandole di sentirsi tradito dal fatto che la donna non gli avesse mai parlato dell’ex fidanzato. Undine ora è mossa da due intenti: la vendetta su Johannes e il recupero della relazione con Christoph.

Undine, la ninfa di Petzold che risveglia il cinema dal sonno

Dopo mesi di pausa dal buio “materno” della sala, ecco che le nuove uscite tornano al cinema e tra queste c’è l’opera di Petzold, dal tocco intimo e fiabesco. Undine – Un amore per sempre è un film sognante e trasognato come la stessa protagonista, interpretata divinamente da un’eterea Paula Beer.

Petzold firma anche la sceneggiatura di questa pellicola che scava nella tradizione mitologica germanica per modernizzare un antico mito, quello di Ondina. Secondo la storia, infatti, Ondina era una bellissima ninfa d’acqua, condannata a perdere la sua immortalità nel momento in cui si fosse innamorata di un uomo mortale, dal quale avrebbe avuto un figlio. Secondo la leggenda, dopo aver scoperto il tradimento del suo amato, Ondina scaglia una maledizione contro l’uomo condannandolo a morire nel sonno. Grazie alla ninfa di Petzold, invece, l’affascinante quanto misteriosa Undine, assistiamo a un risveglio del cinema d’autore dopo il sopore degli scorsi mesi.

Ecco che questa storia, magistralmente intrecciata su più livelli – quello della realtà parallelo a quello del mito – si apre a noi come una matriosca: dentro a una scena ne è racchiusa un’altra, come riflessa in una bolla d’acqua, speculare. I simboli sono continui, più o meno immediati. L’acqua che fuoriesce dall’acquario bagna la pelle di Undine e questa si riaccende, sente il richiamo alla sua natura di ninfa come una voce vera e propria che la chiama a sé per nome, e nel frattempo ha un incontro col destino: la statuetta del sommozzatore che è racchiusa nell’acquario è la metafora dell’incontro con Christoph, il quale la aiuterà a chiudere il cerchio e a incamminarsi verso ciò che fatalmente è chiamata a compiere.

Udine cinematographe.it

Osservatrice silente, di questa storia d’amore che ha del soprannaturale, è la città di Berlino, anche questa mostrata su due livelli: il primo è quello del plastico con cui Undine racconta l’evoluzione urbanistica della città, il secondo è quello mostrato dalla macchina da presa che segue i personaggi in una città resa quasi fantasmagorica. All’interno di quelle stesse strade di cui Undine ricorda il passato, oggi si svolge la sua personalissima vicenda, tra un treno e l’altro, tra le acque del lago e quelle della piscina di Johannes.

La regia si presta ad esaltare le due ottime performance di Beer e Rogowski, dedicando a loro molti primi piani e avvolgendoli coi toni pastello di una fotografia che rende l’ambiente esterno simile a quello sottomarino. Splendide, inoltre, le molte sequenze quasi prive di tema sonoro, nelle quali i silenzi sono scanditi solo dalle battute dei personaggi, in un modo così ovattato da rendere dolce anche la loro lingua madre. La musica è già data dalle immagini, a tratti così ermetiche e al tempo stesso con una potenza comunicativa che Petzold ha già fatta sua da tempo.

Ancora una volta, l’acqua si presta a sublimarsi simbolicamente in un luogo di passaggio tra la vita e la morte, in un antro protetto nelle cui profondità a nessun mortale è concesso di scendere.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4