La folle vita: recensione del film di Raphaël Balboni e Ann Sirot
L'opera, in concorso al Bergamo Film Meeting e in arrivo al cinema il 29 giugno 2023 con Wanted Cinema, trascende il concetto di malattia psicologica, intelaiando un complesso discorso di convivenza e accettazione, più che di guarigione.
La follia, per quanto ai nostri giorni, a livello clinico, sia un concetto alienante e fortemente discriminatorio nei confronti di chi ne soffre, è stata vista come una benedizione in passato, uno status divino che consentiva a pochi eletti di avvicinarsi ai segreti più reconditi e oscuri della nostra esistenza. Una via d’accesso verso un mondo nascosto ai più, una chiave verso l’oltretomba, non un fardello psicologico da portare durante la vita e dal quale è opportuno liberarsi il prima possibile.
La folle vita (titolo originale Une vie démente, titolo internazionale Madly in Life), lungometraggio d’esordio di Raphaël Balboni e Ann Sirot, presentato in concorso al Bergamo Film Meeting, si pone l’ambizioso obbiettivo di elevare il tema della malattia psicologica (nello specifico la demenza semantica), dandogli una connotazione alternativa rispetto a quanto siamo abituati, sconvolgendo in maniera radicale il ruolo del malato, non più vittima di una condizione opprimente, ma in grado di vivere un momento catartico assoluto. Grazie al nostro accredito, abbiamo visto il film in anteprima che sarà disponibile per la visione fino a domani e siamo qui per parlarvene. Vi ricordiamo che il Bergamo Film Meeting è partito il 24 aprile e si protrarrà fino al 2 maggio.
La folle vita: la lunga strada verso l’accettazione
La folle vita inizia con una condizione di normalità, per poi andare ad esplorare aspetti insoliti della demenza semantica, una malattia degenerativa simile al Morbo di Alzheimer che consiste in una progressiva alterazione del linguaggio, andando poi a comprendere altri sintomi legati alla memoria. Alex e Noémie, una giovane coppia, vogliono entrambi un figlio, ma il loro desiderio viene bruscamente ostacolato dall’improvvisa degenerazione psicologica di Suzanne, la madre di Alex, che stravolge completamente le loro vite.
Il lungometraggio, da quel momento, mostra l’inesorabile e inarrestabile condizione mentale della donna, concentrandosi non solo e soltanto su aspetti drammatici, ma colmando questi elementi con un gioia ed energia che difficilmente si aspetterebbe in una produzione simile. La salute di Suzanne la porta a fare cose assolutamente assurde, dal suo punto di vista normali, che fanno scappare più di un sorriso amaro, a patto che venga superato il confine imposto dalla nostra cultura e vissuto personale.
In altre parole, il potere narrativo e registico del film sta nel rileggere completamente il rapporto che intercorre tra malattia e paziente, ma anche tra malato e famiglia. Se siamo abituati a vedere la malattia come una condanna (come il figlio della protagonista, Alex), saremo prepotentemente spinti ad osservare le cose da un alternativo punto di vista, chiaramente non cambiando per forza idea sull’argomento. In una sequenza in particolare, Noémie riprende Suzanne mentre è intenta a pulire la sua macchina canticchiando perché coglie in quell’attimo la felicità e la spensieratezza della donna, nonostante si trovi in una condizione disagiante.
Subito Alex si indigna, pensando che tale scelta sia inaccettabile perché va a toccare un argomento delicato e difficile, mettendo in risalto l’ironia e non la tristezza. Nella scena non c’è solo l’umanità intoccabile e sacrosanta della malattia che non ci rende altre persone (alla fine siamo solo noi) ma che comunque ci segna, ma anche il duro sforzo di andare avanti, procedendo più verso un’accettazione che una cura vera e propria quando questa non è possibile.
Il paradosso è che, con il procedere dei minuti, si comprende sempre di più che il vero malato in La folle vita non è Suzanne, che vive una nuova condizione esistenziale data dalla sua situazione, ma suo figlio che, non accettando compromessi sulla malattia (tra duri litigi con Noémie e uno stress galoppante), si logora interiormente. La chiusura dell’opera è confortante ed agrodolce perché ci mostra la donna in balia del suo disturbo, ma finalmente libera di esprimere sé stessa, anche con la sua psiche compromessa.
Luci e ombre dai tratti color pastello
Con una così imponente e significativa mole di contenuti, La folle vita trova diverse soluzioni per rappresentare al meglio i profondi temi che lo caratterizzano. L’aspetto che forse spicca di più è l’uso della fotografia e della regia negli inframezzi dialogati in banca e dal medico, che insolitamente alternano un palette cromatica di sfumature primarie sia sullo sfondo che addosso ai personaggi, creando una linearità compositiva oppressiva e straniante ma di grande impatto, quasi a normalizzare con un filtro la visione triste e deprimente della malattia.
In netto contrasto con queste scene, le sequenze all’aria aperta, nel giardino di Suzanne e a casa sua, illuminate all’ennesimo potenza, dove la donna può esprimere al meglio la sua libertà mentale. Altro ruolo di notevole spessore all’interno di La folle vita lo gioca la musica, in particolare l’Estate di Antonio Vivaldi, tema ricorrente che oltre a dare una connotazione temporale importante, riesce ad incarnare perfettamente l’animo spumeggiante ed eclettico del personaggio, che non perde nemmeno quando è afflitta da demenza semantica.
L’uso così puntuale e specifico dei colori e della musica hanno anche il compito di fare da amplificatore al grande dramma che subisce la protagonista: sono espressione della sua condizione esistenziale ma al tempo stesso sono inclini alla mutevolezza come lo è allo stesso modo la mente di Suzanne, in un gioco di alternanze e contrasti, che tentano di riprodurre il delirio schizofrenico del morbo.
Un quadro così ampio e ricco di riflessioni non può che essere supportato da un cast eccezionale: Jo Deseure (Suzanne) regala al pubblico un’interpretazione incredibile dove la malattia è trattata con tatto e delicatezza, senza luoghi comuni o esagerazioni completamente avulse dal contesto. Così anche Jean Le Peltier (Alex) e Lucie Debay (Noémie) sono di grande supporto e i loro continui scambi, come anche i loro atteggiamenti opposti e distanti, alimentano continuamente la scena, dando dinamicità alla storia.
La folle vita: valutazione e conclusione
La folle vita porta in scena gli aspetti più particolari e sottili di una malattia psicologica, stravolgendo completamente alcune certezze che lo spettatore è solito avere nei confronti di queste condizioni psicologiche. Una rottura efficace che denota tanta sensibilità, attenzione e tanta volontà di scardinare i dogmi e i pregiudizi sul mondo clinico, narrando la speranza e non la sconfitta, l’accettazione e la convivenza e non la cura come libertà assoluta dal male. E se proprio in una condizione così all’apparenza disagiante e vessatoria, l’animo umano può riuscire effettivamente a raggiungere una dimensione di vera emancipazione?
La folle vita è al cinema dal 29 giugno 2023 con Wanted Cinema.