Until Dawn – Fino all’alba: recensione dell’horror di David F. Sandberg

Il 24 aprile 2025 arriva nelle sale italiane Until Dawn: Fino all'alba, l'horror diretto da David F. Sandberg e tratto dal videogioco omonimo di grande successo che parla di morte, amicizia e tempo circolare.

Dall’intreccio di due tra le tendenze chiave del cinema commerciale contemporaneo – l’horror e l’adattamento dels videogioco di successo – viene fuori Until Dawn: Fino all’alba, regia di David F. Sandberg e in sala in Italia a partire dal 24 aprile 2025, distribuito da Eagle Pictures e prodotto da Sony Pictures. È l’adattamento, termine da non intendersi, qui, in senso strettissimo, rigoroso, del videogioco realizzato per PlayStation 4 da Sony Computer Entertainment: attinge alla mitologia del gioco senza lasciarsi stritolare, partorendo una storia inedita, autonoma, indipendente. L’equilibrio tra riconoscibilità (il videogioco) e novità (le libertà che si prende la storia nel passare da un mezzo espressivo all’altro) del prodotto serve a stuzzicare la curiosità dei due segmenti di pubblico potenzialmente interessati: quelli che sanno di cosa si tratta, e si aspettano di trovare anche al cinema un universo e personaggi familiari. E quelli che non hanno mai giocato a Until Dawn e vogliono farsi catturare dalla storia senza sentirsene esclusi, senza perdere troppo tempo a capire cosa succede, come e perché. Nel complesso funziona, si vedranno le ragioni. Ora qualche nome del cast: Ella Rubin, Peter Stormare, Michael Cimino (solo omonimo).

Until Dawn: Fino all’alba è la storia di una notte di morte che non accenna a finire

Until Dawn: Fino all'alba; cinematographe.it

Con il cinecomic in crisi di ispirazione e appeal commerciale ormai da qualche anno – in attesa di Superman e I Fantastici 4 – è l’adattamento del videogioco l’ultima frontiera del prestigio per il cinema commerciale americano. Gli esiti sono parecchio polarizzati. Da un lato, c’è la possibilità di usare la ricchezza della fonte per produrre uno storytelling emozionante, teso, articolato nella resa estetica e nello spettro tematico, capace di stimolare il pubblico e di esaltare l’immaginario critico e cinefilo (The Last of us 1 & 2). Oppure…si può tranquillamente rinunciare all’idea dello storytelling cinematografico e pensare a una storia totalmente inconsistente quanto a psicologie, motivazione, temi e azione, ma furba il giusto nel riversare quello che ha garantito il successo del videogioco in un film piatto e senza slanci ma dalle impressionanti potenzialità commerciali (Un Film Minecraft). Quanto all’horror, beh, è forse l’unico genere in buona salute in America, oggi.

Restando sul breve periodo, l’horror può farsi violentissimo (Terrifier 3), adattarsi al contesto per lavorare su personaggi e ambiente in maniera interessante (Smile 2), ricordarsi che le parole sono importanti (Heretic), rivoltare le nostre aspettative come un calzino (Strange Darling) o puntare alla provocazione artistica e politica (I peccatori); l’horror sa essere flessibile, fluido, aperto alle contaminazioni senza disperdere se stesso. È un pensiero che David F. Sandberg e i responsabili dello script, Gary Dauberman e Blair Butler, hanno bene in mente quando definiscono l’impalcatura di Until Dawn: Fino all’alba. Su un fondo di (riconoscibili) convenzioni e stereotipi horror iniettano le dinamiche, l’immaginario e il tempo circolare del videogioco.

Clover (Ella Rubin) non ha notizie della sorella Melanie (Maia Mitchell) da un anno. Tutti pensano che sia morta, Clover no e per questo convince i suoi amici a raggiungere la località sperduta in cui Melanie è stata vista per l’ultima volta. Gli amici si chiamano Max (Michael Cimino), tenero e infatuato, Megan (Ji-young Yoo), lucida e equilibrata, Nina (Odessa A’zion) e Abe (Belmont Cameli), coppia di fidanzati un po’ instabili. Senza neanche rendersene conto, i cinque finiscono in una strana casa nel bosco in cui le leggi dello spazio e del tempo non valgono. C’è una clessidra che segna il tempo e il tempo, dentro la casa e nei paraggi, è una notte eterna. La casa è piena di presenze inospitali e l’unico modo di sopravvivere al gioco è rimanere vivi fino all’alba. Se Clover e i suoi non ci riescono, il nastro si riavvolge e la notte ricomincia. Per un nuovo tentativo, una nuova opportunità di scampare alla minaccia esistenziale. Una nuova partita.

Non è il giorno della marmotta horror, purtroppo e per fortuna

Until Dawn: Fino all'alba; cinematographe.it

Until Dawn: Fino all’alba è davvero figlio del suo tempo, perché nasce dall’adattamento di un videogioco di successo, perché beve alla fonte di un genere cinematografico dalla notevole vitalità – l’horror – e anche, soprattutto, per la mancanza di sottigliezza e stratificazione nella costruzione della dinamica narrativa – la notte si ripete finché i personaggi non trovano un modo di arrivare vivi all’alba – nella definizione delle psicologie e nel lavoro sulle convenzioni dell’horror. È tutto molto spiegato, troppo spiegato, senza ambiguità e senza sfumature, e il problema emerge soprattutto con Peter Stormare. Il suo Dr. Hill, il grande burattinaio, avrebbe un bel potenziale, ma la storia non sa coglierlo fino in fondo.

Per un horror che parla di sopravvivenza e della forza dell’amicizia, dell’ombra della morte che ci insegue dappertutto e di come fare a scansarla, manca la complessità esistenziale di Russian Doll (ma quella era una serie Tv, c’era più tempo e spazio per articolare il messaggio) e uno script in grado di lavorare sull’idea del tempo circolare, l’eterno ritorno, con esiti surreali, emozionanti e geniali, come nel caso dell’immortale Ricomincio da capo. Va detto che fa bene, David F. Sandberg, a non replicare con troppo scrupolo il format giorno-della-marmotta: ogni notte è diversa, per i protagonisti di Until Dawn: Fino all’alba. L’esito – la morte violenta – può essere sempre lo stesso, ma come ci si arriva, con quali sofferenze e quanta agonia, cambia sempre. È un bene.
Peccato, quindi, che al film manchi la voglia di rendere davvero creative le trappole che la morte semina lungo il cammino dei personaggi, come succedeva nel capofila dell’horror esistenziale, l’irriverente, ingegnoso e implacabile Final Destination (che, coincidenza o no, sta per tornare in sala). Ciò detto, elencati i difetti e le cose che non vanno come dovrebbero, è arrivato il momento di aggiungere che Until Dawn: Fino all’alba è, sì, un horror imperfetto, ma funziona lo stesso. E questo per due motivi.

Il primo è il cast. Il film sa valorizzare il minutaggio e le opportunità di azione e riflessione dei cinque amici, anche se è chiaro che questo è lo show di Ella Rubin, del cui personaggio si approfondisce il vissuto (salute mentale, retaggio familiare) e si saggiano le credenziali horror. Il secondo è il sentimento della storia, a partire dal lavoro di scrittura per arrivare alla messa in scena di David F. Sandberg. Until Dawn: Fino all’alba è un horror che sa prendersi in giro, che si ricorda di ridere delle sue premesse, per consegnarci una morte cinematografica in tre parti: terribile approdo esistenziale, fonte di puro (esplosivo) divertimento e tripudio di orrore e trauma. Un punto in più per il film che evita di prendersi troppo sul serio.

Until Dawn – Fino all’alba: valutazione e conclusione

Until Dawn: Fino all’alba prende in prestito al videogioco l’immaginario, la circolarità del tempo, la notte eterna come missione da superare per il giocatore-personaggio. All’horror “ruba” un mucchio di convenzioni: l’atmosfera opprimente, lo shock fisico, la casa isolata, il gruppo di amici che fa sempre la scelta sbagliata al momento sbagliato, gli scantinati, le scale che portano nel buio, i mostri annidati ai margini dell’inquadratura. In entrambi i casi, lavora sul materiale senza sottigliezza, sviluppando le premesse in maniera schematica. Ha però un buon ritmo, un’autoironia di fondo che lo aiuta a liberarsi delle trappole pretenziose annidate nella premessa, una spiccata propensione per l’orrore sanguinolento (che in una storia come questa serve più dell’atmosfera) e il giusto spazio per i quattro comprimari e la protagonista. Non del tutto originale, né compiuto in ogni aspetto, ma solido e divertente. È il caso di prendere, non lasciare.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.6