Vakhim: recensione del documentario di Francesca Pirani da Venezia 81

La storia emozionante di un'adozione fra famiglia acquisita e famiglia biologica, nel documentario presentato alle Giornate degli Autori.

Con un’operazione coraggiosa Francesca Pirani mette a nudo la propria esperienza, raccontando l’adozione del figlio Vakhim, che si snoda tra Italia e Cambogia, attraverso un documentario emozionante prodotto da Land Comunicazioni la cui presentazione in anteprima è in programma per il 6 settembre 2024 nelle Giornate degli Autori dell’81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Vakhim è una storia autentica d’adozione raccontata proprio da Pirani che è la voce narrante del film e fa emergere le preoccupazioni e le speranze di una mamma, nel suo ritratto intimo e vero.

La vicenda di Vakhim e della sua sorellina biologica, che si è svolta tra Cambogia e Italia

vakhim recensione cinematographe.it

Si riaprono i ricordi in questo documentario che guarda al futuro ma è anche nostalgico e tanto doloroso. Vede Pirani mamma e regista comporre attraverso video, aneddoti, fotografie d’epoca e lettere, un film che è “un parto difficoltoso” dal sapore catartico e pacificante. L’opera si struttura in un doppio binario espressivo: tra realismo e memoria, assenza e presenza, appartenenza e assimilazione culturale, tra italiano e khmer, ma soprattutto tra nuova famiglia e famiglia biologica. La regista cattura dal principio gli anni dell’infanzia del figlio che a quattro anni, appena adottato tratta il padre come un compagno di giochi e abbraccia la madre come se l’avesse conosciuta da sempre. Poi ricostruisce il momento della crescita, “la sindrome di nostalgia” del piccolo che malgrado il suo passato “ha negli occhi le ombre colorate della sua mente“; e infine il palpito più delicato della vicenda, rappresentato dalla reunion di un giovane Vakhim (e della sua sorellina adottata da un’altra coppia italiana) con la sua mamma biologica cambogiana.

Vakhim è la storia emozionante di un’adozione, un omaggio alla maternità in tutte le sue forme

Il documentario si fa libro aperto e genealogia famigliare dove la ricerca di radici identitarie è complessità irrisolta resa sullo schermo con un’incredibile forza emotiva che emerge in ogni singola scena che riguarda “il bambino con la maglietta gialla”, ovvero il protagonista Vakhim. Un’opera che tocca anche indirettamente lo scandalo delle adozioni internazionali (con riferimento alla scelta forzata delle madri cambogiane di “dar via” i propri figli per pochi spiccioli, perché incapaci di assicurare loro un futuro dignitoso). Vakhim tocca quindi i temi dell’adozione e della maternità ma anche quelli della povertà e dello sfruttamento economico nel mondo asiatico.

Vakhim: valutazione e conclusione

Il documentario è un viaggio profondamente intimo che fa riflettere su emozioni, incertezze, certezze e speranze, e va a fondo sulla complessità dei legami familiari e il significato profondo della famiglia. Siamo rimasti affascinati dallo sguardo cristallino e pieno d’amore che la regista proietta sui villaggi verdeggianti cambogiani, sul volto del figlio e sul mistero della genitorialità. E questo lavoro, che ha come base la continua ricerca di senso, è stato apprezzato nella misura più estesa possibile per la capacità di una madre di fare l’impossibile per non far perdere al figlio nulla di se stesso (del suo passato), di far prendere forma alla vita celata persino nelle prime forme di memoria di Vakhim, ma anche per il suo valore documentario e per l’impegno di omaggiare la maternità in tutte le sue forme.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.3