RomaFF12 – Valley of Shadows: recensione

Con Valley of Shadows Jonas Matzow Gulbrandsen crea un horror scenicamente ineccepibile ma che col passare del tempo si manifesta vuoto.

Valley of Shadows è il primo lungometraggio del norvegese Jonas Matzow Gulbrandsen, che dopo la presentazione al Toronto International Film Festival è stato inserito nella selezione ufficiale della dodicesima Festa del Cinema di Roma. Il film prende ispirazione dalla tradizione della favole gotiche scandinave, e si presenta come una commistione fra horror, thriller e dramma familiare. I protagonisti di Valley of Shadows sono Adam EkeliKathrine Fagerland e Lennard Salamon, tutti a loro esordio in un lungometraggio.
Valley of Shadows

Asiak (Adam Ekeli) è un bambino norvegese di sei anni, sofferente per la perdita in circostanze non del tutto chiarite del fratello maggiore ed estremamente spaventato dalla mattanza di pecore che avviene nel suo piccolo paese in ogni notte di luna piena. A causa della suggestione esercitata su di lui dall’amico Lasse (Lennard Salamon), il piccolo si convince che l’esecutore di queste stragi sia un licantropo abitante nella vicina foresta. Asiak decide quindi di fuggire dalla madre Astrid (Kathrine Fagerland) e di avventurarsi nella foresta, alla ricerca della verità su ciò che lo circonda e forse anche su se stesso.

Valley of Shadows: una favola gotica che diventa allegoria della crescita e dell’accettazione del lutto

Valley of Shadows

Seguendo la recente scia di suggestivi horror scandinavi (Lasciami entrare su tutti), Valley of Shadows sceglie la strada delle atmosfere, mettendo in secondo piano i dialoghi e centellinando le poche rivelazioni sul corso degli eventi. Doveroso evidenziare lo splendido lavoro alla fotografia di Marius Matzow Gulbrandsen, capace di creare un clima realmente lugubre e angosciante e di immergere lo spettatore in un’atmosfera sinistra e rarefatta, sfruttando al meglio la nebbia, la natura incontaminata e i gelidi spazi caratteristici di tutto il cinema nordico. Il regista Jonas Matzow Gulbrandsen si adagia su questo costrutto e sulla lunga tradizione del cinema gotico, costruendo un horror atipico, in cui la paura e la tensione sono generate dall’attesa e dalle suggestioni visive, senza mai trovare una vera e propria concretizzazione narrativa.

Valley of Shadows ci mostra il travaglio interiore del protagonista, seguendo il suo lacerante percorso di crescita e accettazione del lutto, in un intento narrativo non lontano da quanto già visto recentemente nel sottovalutato Sette minuti dopo la mezzanotte. A differenza del film di di J. A. Bayona, l’allegoria si perde ben presto sotto il pregevole impianto visivo, appesantito da una statica ridondanza narrativa e da una vacuità narrativa di fondo, che evita di dare risposte nette precise per salvaguardare l’alone di mistero che avvolge la pellicola, finendo però per impedire allo spettatore di entrare in empatia con la storia e con la dolorosa ricerca del piccolo Asiak. Non aiutano inoltre le performance decisamente rigide e ingessate degli attori di supporto, che non riescono ad avvicinarsi al livello di espressività del piccolo e promettente protagonista Adam Ekeli.

Con il passare dei minuti, Valley of Shadows rivela sotto il pregevole impianto visivo una sostanza vuota e fine a se stessa

Al netto delle suggestioni visive rimane solo una riflessione potenzialmente interessante, ma mal gestita, sul terrore generato da ciò che non conosciamo e sul difficile cammino di un bambino nel conoscere e accettare il male che purtroppo ci circonda. Troppo poco per un film dalle esplicite e disattese pretese autoriali, che scivola ben presto nella mediocrità.

Valley of Shadows

Tirando le somme, Valley of Shadows si rivela un buon esordio registico, capace di infondere con le immagini e con le atmosfere ben congegnate da  Jonas Matzow Gulbrandsen un senso di profonda e tangibile inquietudine. Peccato che questa ineccepibile ricostruzione scenica risulti con il passare dei minuti sempre più vuota e fine a se stessa, manifestando così una preoccupante sterilità di contenuti, che inficia il risultato complessivo della pellicola.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 4
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8