Vatel: la recensione del film con Gérard Depardieu
Roland Joffé dirige un cast stellare in un film corale che denuncia la superficialità della nobiltà del 1600
Una commedia dal finale tragico, o una tragedia con una vena di comicità: comunque si voglia intendere Vatel, il film di Roland Joffé è un vivace ritratto della corte reale francese di Luigi XIV, il mitico Re Sole, dei cui vizi e sfarzi si è ampiamente parlato. La piattaforma streaming Prime Video ci ripropone, nel suo catalogo, questa biografia ricca di un cast strepitoso, su cui spicca Gérard Depardieu: con la sua solita intensità, l’attore francese dà vita a Vatel, il più grande organizzatore d’eventi dell’epoca, e della sua storia tragica e vera, raccontata dal Duca de Saint Simon nei suoi Mémoires. Ma il film di Joffé non è solo una sorta di biografia di questo personaggio realmente esistito alla corte di Francia: il regista prende spunto dalla sua vicenda, infatti, per compiere una ricostruzione eccentrica dell’epoca – giocando con costumi sfarzosi e scenografie d’impatto – e per raccontare quanto fosse realmente spietata la vita di corte, al di là dell’apparente perfezione della vita di chi ne faceva parte.
Vatel: uno spirito ribelle risucchiato dalla nobiltà
Francia, 1671. Alla corte di Luigi XIV, il principe di Condé (Julian Glover) è caduto in disgrazia e cerca in tutti i modi di recuperare le grazie del Re. La sua idea è di organizzare tre giorni di festeggiamenti incredibili per celebrare il passaggio della corte reale nei suoi possedimenti: per organizzare un evento perfetto decide di ingaggiare il più grande maestro di cerimonie dell’epoca, il mitico François Vatel (Gérard Depardieu). Il nostro protagonista riesce a organizzare tutto alla perfezione, ma quando inizia la festa perde completamente la testa per la dama di corte Anne de Montausier (Uma Thurman), con cui passa una sola notte d’amore e che è contesa come amante del vizioso marchese di Lauzun (Tim Roth), che cerca di neutralizzarlo, e del Re Sole. Sconfortato dal suo amore impossibile e da un imprevisto che rischia di rovinare il suo lavoro, Vatel si abbandona alla disperazione con conseguenze tragiche e inaspettate.
Lo sfarzo visivo racconta i lati oscuri di una classe sociale spietata
Presentato al Festival di Cannes del 2000, Vatel fu letteralmente massacrato da tutta la critica che conta, che lo giudicò una storia noiosa e lunga, pur apprezzandolo dal punto di vista tecnico. Ma questa non è mai stata l’opinione degli spettatori, che hanno invece da sempre apprezzato Vatel, cogliendo il senso più profondo del film. Perché l’intento di Roland Joffé è quello di rievocare in tutto e per tutto, grazie alla magia e alla forza dell’immagine cinematografica, il senso più profondo dell’epoca tardo seicentesca, e quindi anche dei suoi difetti e delle sue contraddizioni. La collaborazione con lo sceneggiatore Tom Stoppard (premio Oscar per Shakespeare in love), ha saputo mettere in luce un cast composto da mostri sacri del cinema come Gérard Depardieu, di cui emerge tutto il talento drammatico, Uma Thurman, che nel ruolo della cortigiana affascina il pubblico tanto quanto fa col protagonista, e Tim Roth, sempre perfetto in ogni sua interpretazione. Lo stile drammaturgico è incalzato dalle musiche del maestro Ennio Morricone, che aiutano ad immergersi appieno nella storia, esaltandone i dettagli più nascosti. Ma quello che rimane più impresso di Vatel è l’aspetto visivo: la produzione non ha badato a spese per ricostruire un mondo vanesio, barocco ed esagerato, illuminato di uno sfarzo senza limiti che nasconde, però, i problemi veri delle persone reali. L’aver girato quasi tutte le scene in un vero castello francese, Vaux-le-Vicomte, ha contribuito ancora di più a rendere la storia visivamente sontuosa, e a raccontare anche tramite l’estetica una classe sociale pesante nel decoro e nella mentalità, un’umanità chiusa nella sua bolla di apparenza e proiettata lontano, verso falsi problemi che appaio sempre più distanti dalla vita reale. Roland Joffé costruisce con scrupolo storiografico questo mondo sfarzoso per permettere a Vatel di spiccare ancora di più, e di rappresentare per lo spettatore un punto di vista privilegiato sulla profonda corruzione morale di una classe sociale spietata, che abusa dei propri privilegi e che soffoca Vatel, portandolo a soccombere purché il principe abbia ciò che aveva chiesto. Il difetto del film però – che lo rende una buona pellicola, ma non un’opera indimenticabile – è il muoversi continuamente tra la volontà di una ricostruzione storica appropriata e la morale che contrappone la superficialità della corte alla dedizione estrema e tragica del protagonista. Continuamente a metà tra questi due intenti, la rappresentazione spesso risulta superficiale per entrambi i casi, col risultato di una storia nel complesso meno incisiva di quanto avrebbe dovuto essere.
“Io non sono il Maestro delle cerimonie, ma lo schiavo di esse.”
François Vatel
Anche se la cornice vale più del quadro, Vatel è una pellicola interessante, soprattutto per gli appassionati di storia e gli amanti dei drammi in costume. Pur non essendo un capolavoro, il film di Roland Joffé rimane un’opera interessante e dalle molte sfaccettature, che merita di essere vista per l’intensa interpretazione intesa dei tre protagonisti e per la produzione spettacolare, colorata e viva, sontuosa proprio come l’epoca di cui la pellicola racconta tutte le luci e le ombre.