Venezia 76 – About Endlessness: recensione del film di Roy Andersson
About Endlessness è attinente al film precedente di Andersson - vincitore del Leone - riguardo allo stile, ma se ne discosta da un punto di vista tematico.
Torna Roy Andersson a Venezia, torna con il suo cinema grottesco, metaforico, sperimentale, cinico ma in fondo anche pieno di poesia, mutevole, imperscrutabile eppure universale, e dopo il grande successo ottenuto con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza che nel 2014 gli fece addirittura guadagnare il Leone, ora arriva About Endlessness (Om Det Oandliga).
Ma è davvero lo stesso Andersson, capace di stupire e assieme di incantare pubblico e critica? Di creare un racconto suddiviso in tanti piccoli sentieri capaci poi di guidarci verso un’unica direzione con maestria e poesia? Di parlarci così bene della nostra società, di far rivivere commedia e dramma allo stesso tempo?
About Endlessness sicuramente è attinente al film precedente di Andersson per ciò che riguarda lo stile, ma se ne discosta dal punto di vista tematico, visto che qui a dominare è soprattutto il concetto di esistenza umana come contraddizione, come eterno mutare, ma chiara è anche la critica al suo paese, dal punto di vista storico, sociale ed umano.
I diversi episodi ci portano ad avere di fronte a noi un caleidoscopio di esperienze, sensazioni, sogni, incubi, piccoli fatti quotidiani intagliati nella struttura di un film che sceglie sempre e comunque la dimensione micro per gettare una luce sempre diversa su cosa sia essere umani in quella macro.
Ma, lo si vuole ripetere, è anche un’enorme critica alla società svedese, ad un paese che viene descritto come impietoso, freddo, abitato da gente egoista, senza calore e speranza, chiusa nei suoi piccoli rancori e rimpianti. E che non ha fatto i conti col suo passato, un passato che ha i colori di quel secondo conflitto mondiale dove il paese scandinavo ebbe una parte molto più attiva di quanto molti pensino.
La simpatia per gli ideali nazisti, gli scambi economici, le migliaia di volontari entrati nelle SS, l’aver aiutato moltissimi criminali di guerra, l’essere ancora oggi uno dei paesi dove il filo-nazismo è ben vivo e vegeto, la visione della vita sovente meccanica e prestabilita… About Endlessness è anche questo, senza girarci troppo attorno e con scelte espressive diverse e varie ma sempre coerenti.
Vi è la mancanza di amore, la separazione tra gli immigrati, il loro piccolo mondo chiuso e non integrato, non accolto e dove giocoforza violenza ed emarginazione ghettizzata continuano ad esistere senza che vi sia via d’uscita.
La Svezia di Andersson è un paese che barcolla, che ha perso la fede e che non sa come riprendersela, che si sente abbandonata e senza speranza, che non vede più la luce in nulla ma non accetta chi si lamenta, chi denuncia l’impotenza di un’azione senza motivazione.
Oltre a questo vi è il senso storico del ripetersi eterno di crudeltà e tenerezza, pietà e spietatezza, la natura umana fatta di rimpianti e ricordi, di illuminazione improvvise e gesti senza senso apparente.
A conti fatti About Endlessness è un film sull’individualità dell’emozione, su quanto sovente essa sia puro appannaggio di chi la prova e come sia futile cercarla di condividerla con gli altri.
Tuttavia il film di Andersson soffre di una certa instabilità, come di un’ispirazione che a volte viene a mancare, di un’incapacità di rendere anche solo parzialmente eloquente e chiara la sua intenzione, il suo slegare troppi i vari segmenti tra di loro.
Tuttavia l’ironia, assolutamente squisita perché varia nel tono e nella natura ma non nella finalità, salva diverse volte un film non all’altezza del suo predecessore ma non per questo banale o privo di significato.