Vera: recensione del docufilm di Tizza Covi e Rainer Frimmel

La recensione di Vera, docufilm doloroso sulla figura di Vera Gemma, tra il cinema di John Waters e quello di John Carroll Lynch.

Se John Waters e John Carroll Lynch prima dei rispettivi Pink Flamingos (1972) e Lucky (2017) avessero incontrato per la strada il volto e il corpo assolutamente unico, riconoscibile e segnato dal dolore e dalle cicatrici del tempo, accuratamente celate dal trucco e dalla forza morale di una leonessa eternamente combattiva, seppur dolente, di Vera Gemma, figlia di Giuliano, uno dei numerosissimi divi del cinema italiano western e poliziottesco a cavallo tra la fine degli anni ’50 e quella degli anni ’90, avrebbero senz’altro compreso e intercettato la carica divistica, simbolica e ferocemente narrativa e cinematografica di Vera Gemma.

Vera - Cinematographe.it

Ciò sarebbe accaduto, per via di una caratteristica che contraddistingue in assoluto Vera Gemma, rispetto a qualsiasi altra personalità divistica che chiunque di noi può aver conosciuto tra gli schermi del cinema – o della tv – e le pagine del gossip dei più disparati rotocalchi, ossia il suo essere fortemente contaminata e ibrida, poiché posta – per sua scelta e non – tra una quotidianità di strada, seppur popolata da vip, e sottobosco umano profondamente ambiguo, fatto di truffatori, derelitti, approfittatori, ingenui, innocenti e amici fraterni ed una realtà invece di pura finzione – o quasi – filtrata addirittura dai linguaggi del cinema e poi del ricordo.

John Waters e John Carroll Lynch – La bellezza disperata e grottesca del divo che fu e del derelitto che ne rimase

Pink Flamingos - Cinematographe.it

Laddove Waters sfruttava la sua Divine, o meglio, l’amico di una vita Harris Glenn Milstead, ponendolo nei panni di una figura fierissima della propria transessualità, perciò bella a modo suo e illuminata di una luce crudele e spietata, proprio perché filtrata in quel caso da una scelta estremamente nera, lirica, trash – definizione quest’ultima intesa nel suo significato più alto – e sadica, poiché generata da quel cattivo gusto destinato a divenire marchio autoriale del cinema di Waters, dì lì al resto della sua filmografia, John Carroll Lynch filma gli ultimi passi dolenti, acciaccati, seppur lucidissimi di un divo western ormai giunto all’ultima cavalcata, o meglio, passeggiata, sul tanto malinconicamente immaginato viale del tramonto, circondandolo di un’umanità apparentemente a metà strada tra la letteratura di Cormac McCarthy ed il Neorealismo di Pier Paolo Pasolini.

Vera Gemma tra Divine e Lucky – Una cowgirl scopre la fierezza della transessualità

Che cosa lega questi due modelli umani, cinematografici e simbolici estremamente differenti l’uno dall’altro, a Vera Gemma? Tutto, o quasi.

Se infatti Divine esplodeva sul grande schermo nella sua estremizzazione sadica, violenta, tossica e disturbata ragionando sulla condizione della transessualità e dell’essere – o apparire? – freak all’interno di una società sempre più bigotta, conservatrice e moralista, Vera Gemma ce la mette tutta pur di presentarsi allo spettatore nel suo momento massimo di convinzione morale, tanto rispetto a canoni estetici, quanto etici. Vera Gemma – così come Divine – esalta la condizione della transessualità, ricercando quel modello estetico con grandissima aspirazione ed ispirazione, traendo da essa apparente felicità, appagamento e in un certo qual modo perfino una dimensione mai troppo equilibrata di controllo e benessere rispetto a sé stessa, al proprio corpo e alla propria collocazione e condizione nella società.

Meravigliosamente combattiva nel suo incedere sgraziato, feroce e solitario, Vera Gemma si muove tra le strade ed i quartieri di Roma con un’aria da cowgirl disillusa – proprio come il Lucky di Harry Dean Stanton – colma di rimpianti e rimorsi, con uno sguardo costantemente rivolto al passato e mai realmente al presente, perciò alla disperata ricerca di un’ancora, o meglio, di una speranza, in modo che l’oggi possa darle ancora la forza di restare interessata a ciò che la vita ha da offrirle, scansando invece l’attrattiva del buio, della fine e del punto di non ritorno.

Lucky - Cinematographe.it

Ecco dunque il ruolo fondamentale dell’incidente e del legame sorprendentemente tenero e dolce che nasce tra Vera e quel bambino che sembra intercettare in lei quell’istinto di bontà e generosità che a Vera però non è ancora concesso osservare, o scoprire. Inevitabile perciò considerare che Vera, il docufilm di Covi e Frimmell altro non è, se non una lunga, dolorosa, sincera e riflessiva seduta di psicoterapia, fatta di confronti, sguardi, silenzi, introspezioni e dialoghi destinati a ragionare tanto sulla personalità di Vera Gemma, quanto sul lascito morale, psicologico – e per certi versi traumatico – di quella presenza fantasmatica e più volte richiamata, che incessantemente aleggia, tornando senza sosta dalla prima all’ultima inquadratura del film, quella di suo padre, Giuliano Gemma.

Tra le moltissime tematiche affrontate nelle due ore di Vera, Covi e Frimmell riflettono infatti sul complesso di Elettra e sulle conseguenze emotive dell’essere figli di genitori illustri, perciò della vita costantemente all’ombra di quelle luci irraggiungibili e destinate a generare inevitabilmente sentimenti contrastanti capaci di collocarsi tra l’odio più cieco, e l’amore più appassionato.

Una riflessione che trova respiro, seppur in modo fin troppo didascalico, nella scena del cimitero, durante la quale Vera Gemma e l’amica di una vita, Asia Argento osservano e dialogano sul peso simbolico della frase incisa sulla tomba del figlio di Goethe, ossia: “il figlio di Goethe”, niente più e niente meno, legandosi inevitabilmente alla condizione che entrambe hanno vissuto e che vivono da sempre, tra complessi di inferiorità e timori di non esistenza.

Realismo e maniacalità estetica – Le grandi paure di Vera Gemma        

A partire dal titolo di questo bizzarro ma incredibilmente interessante docufilm, si ha immediatamente chiara la necessità ed il desiderio di realismo che Vera Gemma ha posto prima a sé stessa e poi ai suoi due registi prima ancora di realizzarlo, come condizione inevitabile e fondamentale, affinché ogni elemento, anche il più apparentemente  insignificante apparisse come assolutamente aderente ad una realtà tangibile e ad un quotidiano assolutamente sincero, perciò doloroso nella sua fotografia lucidissima e vivida di quella che è oggi la vita di Vera Gemma, una personalità particolare, aggressiva, dolce, combattiva, distruttiva, grottesca, eppure bellissima, forte della propria consapevolezza ormai raggiunta, e di quel cappello da cowgirl che è un po’ coperta di Linus, e un po’ arma letale e al quale mai e poi mai rinuncerà.

Vera; cinematographe.it

Due sono i fantasmi dell’anima di Vera Gemma, due sono le grandi paure di una donna che molto probabilmente non ha mai realmente compreso sé stessa, e così i suoi desideri e volontà: il realismo e la bellezza.

Non è casuale perciò la scelta di girare il film in pellicola, nel formato Kodak Vision 16mm, così come non è casuale il peregrinare instancabile e crepuscolare di Vera Gemma tra i salotti vip più glamour e le sale casinò più kitsch e tristemente solitarie di Roma, che se la spingono inizialmente ad apparire e mostrarsi, la convincono infine a nascondersi, mettendocela davvero tutta pur di restare nell’ombra.

Vera: conclusione e Valutazione

La cura maniacale dell’icona e del significato più ampio e lirico di diva, così come il gusto grottesco ed estremo per quella ricerca di ambizione estetica minata dai traumi di una volontà paterna ombrosa, irrazionale ed esageratamente immotivata – basti pensare alle operazioni chirurgiche riservate ai figli in tenera età – e la ricerca continua della propria identità – sessuale e non – rendono Vera un prodotto cinematografico unico nel suo genere, in quanto racconto di dolore, realismo, sincerità e meta-cinema, distanziandolo da qualsiasi altra possibile ricerca narrativa e documentaristica esistente.

Un cammino doloroso, eppure consigliatissimo, capace di riflettere su temi universali, partendo da una piccola storia, di provincia quasi, eppure collocata in una moltitudine di luoghi, tanto geografici, quanto dell’anima.

Presentato in anteprima mondiale nella sezione Orizzonti alla 79° edizione della Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e vincitore del premio come Miglior Attrice, Vera è al cinema a partire da giovedì 23 marzo, distribuzione a cura di Wanted Cinema.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4