Bif&st 2022 – Vetro: recensione del film di Domenico Croce

La recensione del thriller psicologico con Carolina Sala e Tommaso Ragno, presentato al 13° Bif&st prima dell’uscita nelle sale il 7 aprile 2022.

Il focolaio domestico è universalmente riconosciuto come quel posto nel quale trovare rifugio, comprensione, affetto e protezione. Insomma, il luogo più sicuro al mondo. Ma la storia della Settima Arte ci ha mostrato che non è sempre così. Filoni come quelli dell’home invasion, del torture porn o delle ghost-house ad esempio hanno dimostrato in più di un’occasione che le quattro mura di una casa, al di là della metratura e geolocalizzazione, possono trasformarsi in un habitat ostile dove non mettere piede o dal quale fuggire. come nel caso di quello che fa da cornice a Vetro di Domenico Croce.

Vetro: un film nel quale le topografie circoscritte e la spazialità ridotta ricoprono un ruolo centrale

Vetro cinematographe.it

Il film in questione, presentato in concorso nella sezione Panorama Internazionale della 13esima edizione del Bif&st prima dell’uscita nelle sale con Vision Distribution il 7 aprile 2022, non appartiene al genere horror, anche se qualcosa di orrorifico e inquietante c’è nelle atmosfere, nella location e nel mood della pellicola del regista romano, qui al suo esordio nel lungometraggio dopo la vittoria del David di Donatello con il cortometraggio Anne. Tali venature, infatti, servono all’autore per pompare ansia, tensione e claustrofobia in un film nel quale le topografie circoscritte e la spazialità ridotta ricoprono, alla pari della sorte della protagonista che ne è vittima, un ruolo centrale.

Vetro è un thriller psicologico a scatole cinesi la cui chiave di volta sta nel suo stesso titolo

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Proprio la protagonista e lo spazio di pochi metri quadri dal quale non esce da un tempo indefinito sono i pilastri che sorreggono l’architettura narrativa e drammaturgica dello script firmato a quattro mani da Ciro Zecca e Luca Mastrogiovanni, che la neonata produzione Fidelio ha affidato alla regia di Domenico Croce. Dal loro immaginario, mescolato a quello del kammerspiel di nuova generazione, è nato un thriller psicologico a scatole cinesi la cui chiave di volta sta nel suo stesso titolo. Ma non diremo altro, perché il pericolo dello spoiler è dietro l’angolo e una parola di troppo sulla trama potrebbe in qualche modo innescarlo. Quello che possiamo anticiparvi è che la protagonista, una ragazza “hikikomori” senza nome, spiando i vicini di casa, si accorge che nell’appartamento di fronte sta succedendo qualcosa di spaventoso. Ma il suo desiderio di indagare si scontrerà con l’impossibilità di uscire dalla propria stanza e aprirà degli scenari inaspettati. I suoi unici affacci sul mondo sono dunque una community online e la finestra della sua camera, dove vive con il suo cane e con suo padre, al quale però non è concesso di varcarne la soglia.

Vetro è un mistery in odore di crime che lavora con efficacia sui cambi di registro, sulle (re)azioni dei personaggi e sui plot twist

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Letto così il plot non presenta nulla di originale e inedito, con la mente del cinefilo che va di default a ripescare film con tratti comuni dai quali Vetro sembra avere attinto a piene mani, a cominciare da  La finestra sul cortile a Room, passando per La ragazza del treno e il più recente La donna nella casa di fronte alla ragazza dalla finestra. Effettivamente più di un nesso c’è, con i déjà-vu che fanno capolino in più di un’occasione. Di questo però gli autori della sceneggiatura prima e chi ne ha curato la messa in quadro poi sembrano esserne pienamente coscienti, tanto che con gli stilemi del filone di riferimento e con certe dinamiche già viste nelle suddette opere ci fanno leva per sfruttarle a proprio uso e consumo, dando forma e sostanza a un mistery in odore di crime che lavora con efficacia sui cambi di registro, sulle (re)azioni dei personaggi e sui plot twist. Alcuni di questi riescono a prendere in contropiede lo spettatore, a differenza di altri che invece si rivelano prevedibili agli occhi degli abituali frequentatori dei gialli da camera.

Carolina Sala si carica sulle spalle un’operazione che la vuole in scena dal primo all’ultimo fotogramma utile in un autentico tour de force

Visto oggi, con ancora addosso le cicatrici indelebili della reclusione forzata dovuta alle note cronache pandemiche, quello di Croce è un film la cui fruizione può diventare anche un’esperienza  insostenibile. Coloro che sapranno andare oltre, invece, troveranno in Vetro qualcosa in grado di calamitare a sé lo spettatore grazie a un discreto crescendo di tensione, amplificato dalla costante sensazione di claustrofobia data da una tavolozza cromatica che predilige dei colori acidi e disturbanti e da un’unità spazio-temporale di un perimetro dal quale diventa quasi impossibile evadere. Nota a margine per la performance dell’esordiente Carolina Sala, giustamente premiata con una menzione speciale per la sua interpretazione alla kermesse pugliese, brava a caricarsi sulle spalle un’operazione che la vuole in scena dal primo all’ultimo fotogramma utile in un autentico tour de force che avrebbe fatto capitolare molte altre colleghe, magari con più esperienza e più blasonate.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.9