Viaggio in Italia: recensione
Ingrid Bergman, diva di origine svedese dall’indiscutibile bellezza, dopo un inizio di carriera ad Hollywood che la vede protagonista di pellicole che hanno fatto la storia del cinema mondiale, tra cui Notorious di Alfred Hitchcock e Casablanca di Michael Curtiz, sceglie di calcare le scene del cinema italiano. L’attrice, colpita da due film di Roberto Rossellini, Paisà e Roma città Aperta, invia una lettera al regista, con la quale simpaticamente si propone di lavorare col maestro del neorealismo. Rossellini non si fa scappare l’occasione di dirigere la Bergman, anche se, come leggiamo nella lettera, l’unica parola che l’attrice sa pronunciare in italiano è “ti amo”. Tra gli anni quaranta e cinquanta, inizia cosi, tra i due, un sodalizio professionale e sentimentale. Nel periodo di collaborazione fra l’attrice e Rossellini nascono pellicole indimenticabili, tra cui Viaggio in Italia, del 1953.
Due coniugi inglesi, Katherine (Ingrid Bergman) e Alex Joyce (George Sanders) sono costretti ad un viaggio nel sud della penisola per sistemare una questione di eredità. I due, per qualche giorno lontani dall’abituale vita londinese, hanno così la possibilità di affrontare i problemi del loro matrimonio.
Chi non ha rischiato mai di veder finire il proprio rapporto di coppia a causa dell’orgoglio? La superbia, la presunzione e l’arroganza, in cui tante volte può capitare di sprofondare, ci inducono da sempre a distruggere i rapporti più belli. Un ostentata indifferenza nei confronti dell’altro e un bel po’ di noia finiscono per allontanarci da chi amavamo e tutto l’amore cade, inevitabilmente, in un burrone di rabbia e rancore. Questo è ciò che potrebbe succedere alla coppia protagonista di Viaggio in Italia.
Katherine è stufa del sarcasmo tagliente del marito e accusa l’uomo di essere ossessionato dal lavoro, cinico e ipocrita. Alex, da parte sua, non sopporta lo stupido romanticismo della moglie.
Katherine (al marito): Nei tuoi occhi non ho letto che scetticismo e ironia, la paura del ridicolo mi ha paralizzata…
I due sembrano non avere più nulla da dirsi e, quasi come due estranei, vagano nella realtà che li circonda, soli e indifferenti nei confronti di tutto.
La protagonista femminile entra in contatto con la vita di Napoli e, sempre accompagnata dalla voce di una giuda, visita il Museo Nazionale, il cimitero delle Fontanelle, la solfatara di Pozzuoli e viene a conoscenza di aneddoti particolari sulla storia di quei posti, ma niente sembra davvero distrarla dal pensiero di un una gravidanza che non ha mai vissuto e dal fallimento del proprio matrimonio.
Neanche Alex, giunto a Capri e in compagnia di amici e donne, sembra divertirsi tanto. Mentre i due non fanno altro che scappare l’uno dall’altro, forse per paura di rimanere soli troppo a lungo, affiora qualche manifestazione di gelosia da parte di entrambi. E’ quella gelosia che, di tanto in tanto, ci lascia immaginare la possibilità di un lieto fine…
L’aspetto davvero innovativo del film riguarda l’uso del suono. I colori di una Napoli, da poco uscita dalla seconda guerra mondiale, vengono evocati, sul piano sonoro, attraverso i rumori della vita reale per le strade e grazie ai canti popolari napoletani che ricorrono a commentare più di una scena. Responsabile della colonna sonora del film è Renzo Rossellini.
Jacques Rivette, negli anni del dibattito sul cinema moderno, commenta così il film di Rossellini:
Mi sembra impossibile vedere Viaggio in Italia senza sentire, con l’evidenza di una sferzata, che questo film apre una breccia, e che il cinema intero deve attraversarla per non morire.
Nel cast, oltre ai protagonisti assoluti della storia, Ingrid Bergman e George Sanders, già nominati, figurano Anna Proclemer, Paul Müller, Lyla Rocco e Maria Mauban.
Un film che, seppure inizialmente ignorato dal pubblico, entra a far parte della storia del nostro cinema migliore a pieno titolo. Un capolavoro, nello stile senza fronzoli di Rossellini, che propone una descrizione del matrimonio così come si presenta in tante realtà. Dopotutto, l’amore di ieri è come quello di oggi e, molto probabilmente, non sarà neanche tanto differente dall’amore di domani.