Village: recensione del film giapponese Netflix
La recensione del dramma esistenziale e sociale scritto e diretto da Michihito Fujii, la cui visione lascia l’amaro in bocca. Dal 16 giugno 2023 su Netflix.
Quella del Sol Levante si sa essere una cinematografia assai prolifica e variegata quando si parla di offerta. Di conseguenza non c’è da meravigliarsi se su Netflix è possibile trovare di tutto e di più in termini di proposta e di generi. Il dramma nelle sue molteplici sfumature e declinazioni ha diversi titoli in catalogo, ma non arriva numericamente a raggiungere quello delle pellicole appartenenti alla famiglia allargata della fantascienza presenti sulla piattaforma a stelle e strisce. Ecco perché ogniqualvolta si presenta l’occasione di vedere un film giapponese che ha nel proprio DNA una forte componente di dramma puro e di realismo estremo l’interesse nei suoi confronti cresce a dismisura. La sola speranza di trovarsi al cospetto di un’opera come quelle firmate da nomi del calibro di Naomi Kawase o Hirokazu Kore’eda, capaci di emozionare e coinvolgere lo spettatore al punto da togliergli il fiato come un pugno assestato alla bocca dello stomaco, è un motivo più che sufficiente per tentare la sorte e avventurarsi nella visione del film di turno che nel caso specifico è Village di Michihito Fujii, rilasciato dalla grande N il 16 giugno 2023.
Village non raggiunge il risultato sperato a causa di problematiche che ne disinnescano il potenziale di partenza e ne indeboliscono i punti di forza
Le speranza riposte nell’ultima fatica dietro la macchina da presa di regista di Tokyo erano piuttosto elevate data la tanta esperienza accumulata negli anni dal classe ‘86 tanto sul grande quanto sul piccolo schermo, che lo hanno portato negli anni a fare tanto e bene su entrambi i fronti. Ma ci duole dire che purtroppo non è questo il caso, con Village che non raggiunge il risultato desiderato a causa di una serie di problematiche che ne disinnescano il potenziale di partenza e ne indeboliscono i punti di forza, a cominciare dal plot e dagli attori chiamati in causa, a cominciare da Ryusei Yokohama, Haru Kuroki e Arata Furuta, interpreti di nota caratura del panorama nipponico odierno qui impegnati nei ruoli principali che non riescono ad esprimersi al meglio rispetto al rispettivo potenziale. Le loro performance sono altalenanti e discontinue, con momenti di grandissima intensità e coinvolgimento emotivo (vedi il pestaggio nel giardino di casa di Misaki) che cedono il posto ad altrettanti dove tutto ciò viene meno. Il ché si ripercuote negativamente sui personaggi che gli sono stati affidati e sul film in generale.
L’altro tallone d’Achille sta nella scrittura anch’essa barcollante, ma soprattutto prolissa, poiché incapace di fare a meno di tutta una serie di digressioni e orpelli narrativi che non fanno altro che gonfiare la timeline rendendolo poco incisivo, diretto e dal ritmo soporifero. Gira a vuoto intorno a concetti più volte espressi e si ripiega su se stessa quando si dovrebbe arrivare al nocciolo della questione, lavorando costantemente in accumulo invece che in sottrazione. Il ché genera scene fotocopia che gettano ulteriore carne al fuoco, quando quella che quella messa precedentemente era più che sufficiente a costruire le basi e dare corpo alla storia e alle sue one-lines. Village soffre dunque di un’eccessiva saturazione degli ingredienti narrativi e drammaturgici, che finiscono con l’appesantire troppo l’architettura di un racconto che altrimenti avrebbe potuto offrire molti spunti d’interesse allo spettatore, poiché approfondisce una questione urgente della società contemporanea: la gestione dei rifiuti e i problemi sociali che comporta.
Village approfondisce una questione urgente della società contemporanea: la gestione dei rifiuti e i problemi sociali che comporta
Il film ci porta in un remoto villaggio del Giappone battezzato Kamonmura, diventato ora una gigantesca discarica a cielo aperto. Qui vive Yu Katayama, un giovane che cerca di liberarsi da un destino crudele che lo lega a quella terra sin da bambino, dalla quale non può andarsene a causa di un incidente del suo passato. Per saldare il debito di sua madre, Yu lavora in un impianto di smaltimento dei rifiuti nelle vicinanze. La sua esistenza non contempla sogni e speranze per il futuro, almeno sino a quando la sua amica d’infanzia Misaki Nakai, del quale è stato sempre segretamente innamorato non torna dalla Capitale. Un ritorno che cambierà nel profondo il protagonista.
Il tema su e intorno al quale ruota e si sviluppa il baricentro del film è scottante quanto delicato da affrontare. La decisione di fondere l’antica tradizione con la dura realtà dei tempi moderni, rendendo il discorso di fondo estremamente attuale, poteva sulla carta alzare lo spessore e stratificare l’esoscheletro narrativo di una storia che si alimenta tirando dentro il romanzo di formazione, il dramma familiare e quello sentimentale. Un magma incandescente, questo, che nelle due ore a disposizione (troppe se si pensa alle reali esigenze del plot) genera un sovraccarico interno di dinamiche non completamente risolte. Si esce dalla visione di Village con l’amaro in bocca per ciò che sarebbe potuto essere e che non è stato.
Village: valutazione e conclusione
Dal Giappone un dramma che si fa carico di un tema dal peso specifico rilevante e attuale come la gestione dei rifiuti e dei problemi sociali che comporta, ma che a causa di un’eccessiva saturazione e di una serie di futili digressione si disinnesca e perde potenza emozionale. La discontinuità delle performance attoriali è l’altro tallone d’Achille, mentre la confezione nella sua interezza fa fatica a raggiungere gli standard richiesti.